Non profit
Microcredito, l’Italia vuole pensare più in grande
Parla Mario Baccini, presidente del Comitato nazionale
di Redazione
Si chiama Comitato nazionale italiano per il microcredito ed è stato promosso da poche settimane ente di diritto pubblico: in un momento come questo, con i carrelli della spesa sempre più leggeri, lavoro e casa lusso per pochi e sempre più “unbanked”, proprio il microcredito sembra una soluzione cui fare affidamento. Portato alla ribalta da Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace nel 2006 proprio per aver attuato lo small credit in India, anche l’Italia ha voluto impegnarsi in maniera più strutturata, a seguito di un appello dell’allora segretario generale della Nazioni Unite, Kofi Annan.
Nacque così, proprio nel 2006, il Comitato temporaneo. Il parlamento prima lo volle Comitato permanente. Successivamente, spinto anche dalla concessione, da parte di Napoletano, dell’Alto patronato della presidenza della Repubblica, si decise di incardinarlo sotto la presidenza del Consiglio.
L’obiettivo, come racconta Mario Baccini, presidente del Comitato, «è battere sul tempo la povertà e l’emarginazione finanziaria, tenendo presente che non è uno strumento teso a finanziare i desideri ma a soddisfare i bisogni». Prima si è pensato a coinvolgere tutte le realtà già impegnate sul campo, dalle ong alle fondazioni bancarie, le associazioni e i ministeri degli Affari esteri e dell’Economia, la Banca d’Italia e Unionfidi. Il passo successivo è disegnare una mappa della situazione reale italiana per indirizzare gli sforzi. Per questo è nato l’Osservatorio, gestito dall’università di Bologna, con una banca dati e un centro studi e progetti, grazie ai quali si potrà monitorare il polso del Paese e decidere in modo oculato a chi e dove destinare i fondi raccolti.
«Il nostro intento è ridare dignità alla persona», spiega Baccini. «Tanta gente è esclusa dal sistema bancario perché non ha garanzie. Noi lavoriamo perché al posto delle garanzie reali si dia valore alle garanzie personali, legate alla dignità e all’onorabilità della persona. Senza dignità e onore, infatti, nessuno può definirsi un uomo libero».
Il Comitato lavora soprattutto facendo formazione. Gli operatori insegnano ai destinatari di credito a mettere in piedi microaziende. Si insegna a dare e produrre lavoro e a diventare autosufficienti, in linea con la mission dell’intervento che non opera sui consumi ma proprio sul lavoro.
«I destinatari del servizio», sottolinea ancora Baccini, «sono per lo più immigrati, ex detenuti, donne, giovani, disoccupati, microaziende in crisi. Tutte fasce che hanno oggi bisogno di sostegno perché destinate a soffrire di marginalità o, peggio, a delinquere».
Per mettere in moto il meccanismo c’è bisogno di tanto lavoro, in questo senso nelle prossime settimane verrà reso pubblico un appello a tutti i giovani che vogliono occuparsi di microcredito e cooperazione internazionale. «L’invito è di venire a fare formazione, per poi andare sul territorio a seguire i progetti», precisa Baccini.
Sul piano economico, invece, i prossimi passi saranno la costituzione di due tipologie di fondi, entrambi ottenuti grazie all’intervento di risorse pubbliche e private. I primi sono i Fondi di microcredito che operano in prima persona nel gestire i prestiti. I secondo invece sono Fondi d’investimento chiusi per la microfinanza, che daranno capitali a chi si occupa di fare microcredito. E poi ci saranno le attività di formazione e il funding resource che nel prossimo triennio porteranno al delinearsi della «via italiana al microcredito».
Conclude Baccini: «È importante far capire che abbiamo lavorato soprattutto con la “diplomazia preventiva”, che rappresenta una straordinaria azione politica. Un’azione che può essere intrapresa solo in un Paese animato da valori veri. Che con la microfinanza troveranno un supporto per diventare realtà».
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