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Democratici al capolinea?
Veltroni getta la spugna. Il centrosinistra nel marasma
Oggi la rassegna stampa si occupa anche di:
ALEMANNO
AFGHANISTAN
ANTINORI
MILLS
FINE VITA
CSR
Grande spazio su tutti i giornali all’addio di Veltroni. Tanti i pareri e le interpretazione di questa mossa a sorpresa che promette di scombussolare gli equilibri politici. E non solo nel centrosinistra. Come ammettono i “generali” del Pdl.
“Veltroni si dimette, Pd nel caos”: apre in questo modo LA REPUBBLICA e dedica alla crisi dei democratici 8 pagine. La cronaca riferisce del coordinamento di ieri mattina e della comunicazione delle dimissioni dopo la batosta elettorale («mi assumo le responsabilità. Evitiamo il logoramento, basta farsi del male, mi dimetto per salvare il progetto al quale ho sempre creduto»). Il dualismo Veltroni-D’Alema non c’è più, ma fa notare Goffredo De Marchis, ma il fantasma di Massimo è sempre lì: non a caso fra le molte telefonate di ieri (Veltroni ha parlato con il Presidente della Repubblica, quello della Camera, con Gianni Letta, con Prodi) non c’è quella con D’Alema. Quanto al futuro, Carmelo Lopapa scrive di «Franceschini leader provvisorio». Non è improbabile che si vada a una reggenza. Ma servirà? Le tensioni in specie dei rutelliani sono molte («Veltroni era l’unico punto di sintesi possibile, da oggi tutto sarà più difficile» ha detto la rutelliana Linda Lanzillotta: come dire non vi sono altre sintesi possibili, dunque ognuno per sé; ipotesi che Rosy Bindi boccia perché vorrebbe dire ritornare a una sinistra con Vendola e a un centro con Casini). Al di là del pezzo di Lopapa molto illuminante il grafico intitolato “La galassia del Partito Democratico”: tante teste – ben undici – tante correnti. Un’altra ipotesi in circolazione: un direttorio di 4 rappresentanti delle maggiori correnti. Discussioni molto interne al Palazzo, che non tengono conto della voce degli elettori: “Dalla base sale un urlo sul web «Adesso via tutta la nomenklatura»” è appunto il titolo del pezzo di Alessandra Longo. Cui segue il racconto di Curzio Maltese che ha un titolo egualmente chiaro: “Tutto un vertice finisce sotto processo”.
L’editoriale è firmato dal direttore Ezio Mauro: “La responsabilità dei riformisti”: «il Pd è senza un Capo, nel momento in cui Berlusconi si riconferma leader incontrastato della destra, anzi padrone del Paese, che tiene ormai in mano come una cosa di sua proprietà, tra gli applausi degli italiani»; «se Veltroni paga, com’è giusto, nessuno dei molti sedicenti leader del Pd può considerarsi assolto». Il gruppo dirigente ha continuata a parlare a mille voci, la guerra con D’Alema continua dai tempi del Pci (mentre nel frattempo sono cambiati 5 presidenti Usa) e soprattutto non è stata prodotta una chiara politica di riferimento per gli elettori: «il deficit culturale è direttamente deficit politico».
“Veltroni si dimette, il Pd è nel caos” titola il CORRIERE DELLA SERA in prima pagina. L’editoriale (“Il peso delle oligarchie”) è affidato alla penna di Angelo Panebianco, che considera le dimissioni una mossa «saggia». Secondo l’interpretazione del politologo infatti «I capi-corrente avrebbero preferito che egli rimesse in carica ancora qualche mese (fino al congresso di ottobre) in modo da avere il tempo per preparare la successione. Veltroni li ha presi in contropiede aprendo una crisi al buio». Rimane la domanda di fondo: È già fallito il progetto che diede vita al partito democratico? Risponde Panebianco: «Le premesse erano buone. La realizzazione lo è assai meno». Per almeno tre ragioni: la primarie da cui uscì Veltroni non determinarono un indebolimento dei gruppi dirigenti di Ds e Margherita, il partito è stato concepito dai suoi leader come un contenitore «entor cui garantire la perpetuazione della propria sopravvivenza politica». Terzo: a differenza del centrodestra il partito unico del centrosinistra ha sempre dato l’impressione di essere un partito debole.
Per il futuro intanto il CORRIERE avanza l’ipotesi di una reggenza di Dario Franceschini, mentre nel Dietro le Quinte di Maria Teresa Meli si dà conto del gelo di Veltroni nei confronti di Bersani: «è anche colpa tua». La sintesi della situazione però la fa la rutelliana Linda Lanzillotta: «Walter è il Pd e se lui se ne va che resterà di questo partito? Probabilmente niente». Infine il commento di Berlusconi: «Si è fatto fuori da solo» e il fido Letta si preoccupa: tutto si aggroviglia. Mentre per l’ex presidente Ciampi: «Le stagioni cambiano, serviva una scossa…non aveva altra chance, dimissioni per spezzare l’assedio e rilanciare il progetto».
Grandissimo spazio in prima pagina e all’interno al caso Pd per la LA STAMPA. Da segnalare in particolare tre editoriali tre: nell’ordine Lucia Annunziata che scrive di “Sfascio a sinistra”; Augusto Minzolini de “Il cavaliere pigliatutto” e Riccardo Barenghi che si butta su “La sciagura del ma anche”.
Annunziata: Veltroni ha fatto un gesto efficace, perché con le dimissioni ha esposto le vere condizioni in cui versa il Pd, cioè «allo sbando». Semmai a preccupare è stata la reazione di chi le dimissioni prima le ha respinte (per prendere tempo) e poi si è messo a contare i giorni che ci separano dalle Europee, per tenere insieme i cocci fino a quel momento. Conclusione: «La sinistra ha molte responsabilità sulla propria continua sconfitta di questi ultimi anni. Ma nessuna è forse più rilevante quanto la rimozione con cui continua a negarsi la verità su se stessa».
Minzolini: a Berlusconi vincere la «scommessa sarda» gli ha semplificato la vita, sia nei rapporti con il Colle, sia con gli alleati (vedi Fini). «Magie del consenso», le definisce Minzolini, tanto più che «le elezioni sono per il premier un’iniezione di energia» e lo hanno riconfermato «al centro della politica italiana».
Barenghi: il fallimento «non si chiama Veltroni ma Partito democratico», scrive Barenghi. Ovvero un coacervo di persone che hanno idee molto diverse, «speso anche opposte, su ogni singola questione». Per Barenghi nel Pd «la scelta è diventata una non scelta», e il «famoso ma anche di Veltroni non è un suo vezzo ma esattamente la linea: stiamo con gli operai ma anche con i padroni, con i magistrati ma anche contro di loro…». Soluzione? Separare le due grandi culture del Pd, quella laica socialista e quella cattolica democratica, e poi allearle solo per le elezioni.
“Sardo nel buoio”, titola magnificamente IL MANIFESTO di oggi. Gabriele Polo firma l’editoriale in prima sotto il titolo “Fine corsa”. Scrive Polo: «La transizione italiana verso una sinistra normale di un paese normale è precipitata ieri nell’8 settembre del Pd. Walter Veltroni ha tratto le conseguenze di un’impossibilità e – coerentemente- se ne è andato. Lasciando dietro di sé macerie di un non partito e un frantumato gruppo di dirigenti, tutti rigorosamente al loro posto. Comandanti senza truppa che fino all’ultimo avevano sperato di tenere il segretario prigioniero dei suoi sogni infranti, per avere un comodo velo dietro cui fondare un nuovo equilibrio». IL MANIFESTO affida il controcanto a Chiamparino: «Walter sbaglia a lasciare ora serve un leader forte» che si traduce «in una linea politica chiara e via chi non ci sta».
Foto a tutta pagina di Veltroni, mani nelle mani e il titolo “L’ultimo Walter”. Sulla notizia IL GIORNALE sceglie di pubblicare due fondi rispettivamente di Paolo Guzzanti e di Vittorio Macioce, un retroscena, un’intervista a Chiamparino e un commento di Peppino Caldarola. Se Paolo Guzzanti nella sua lettera «al compagno di classe con cui vorresti fare la gita di fine anno» consiglia Veltroni di imparare a fare il leader, Vittorio Macioce invece analizza le dimissioni di Veltroni dal punto di vista delle ricadute politiche. “Danni collaterali. Ci ha lasciato con il Tonino acceso”. Dove Tonino sta per Antonio Di Pietro «Viene da ridere a pensare che la sinistra porta il nome di un ex poliziotto: basta poco per raccontare il miracolo veltroniano. Basta questo. È lui l’opposizione. È la su voglia di guerra civile. È l’antiberlusconismo come religione. È rimasto Tonino che ha cannibalizzato i voti del Pd, le sue tante identità, la sua visione del mondo. Veltroni è riuscito a cancellare anche l’odore della sinistra. Sognava Obama e ha partorito Di Pietro». Il retroscena di Laura Cesaretti è la rassegna del detto e non detto, di botte e risposte. In pagina invece svetta la foto di due raggianti vip del Pd: Rutelli e Franceschini con tanto di t-shirt “Sono partito democratico e non torno indietro”. È Andrea Romano, editorialista del Riformista che intervistato da Luca Telese consiglia il Pd di imitare il caso Renzi di Firenze e di dire «basta alle primarie tra oligarchi». Chiamparino intervistato da Francesco Cramer annuncia la possibilità di scissioni e commenta «Distrutti dalle correnti: siamo la brutta copia della Dc». Le dimissioni di Veltroni non sono una sorpresa secondo Peppino Caldarola «un finale scritto due anni fa per un partito inutile». Come si diceva IL GIORNALE torna sul voto sardo e sottolineando che Berlusconi ieri non ha fatto dichiarazioni ma ha incontrato la Pelosi, pubblica un commento di Baget Bozzo che titola “Il Pdl ha sfondato. Ora Berlusconi è ancora più forte”.
«La Sardegna pesa, Veltroni si dimette» questo il titolo con cui apre AVVENIRE, spiegando quello che è successo, la decisione e del segretario del Pd e i possibili scenari futuri. Sono tre le pagine dedicate all’argomento Nelle prime due si analizza il voto sardo, scoprendo che hanno votato Pdl anche zone storicamente «rosse», si sottolinea l’orgoglio dell’Udc che si ritiene fondamentale per le vittorie del Pdl, e si registra il rispetto nutrito dagli esponenti del centrodestra per Walter Veltroni che li porta ad una strategia di assoluto «fair play». L’ultima pagina dedicata invece è totalmente incentrata su Veltroni e il suo partito. AVVENIRE sottolinea con un box che il bilancio di Veltroni al Pd è di cinque sconfitte in dodici mesi, infatti il Pd ha perso, prima di sprofondare in Sardegna, le politiche, le regionali e le amministrative ad aprile 2008, le provinciali siciliane a giugno 2008 ed infine è stato sconfitto in Abruzzo a dicembre. In basso, sempre nella stessa pagina, si da spazio a Di Pietro che rivendica l’etichetta di opposizione in solitaria, accusando il Pd e il suo ormai ex segretario di non avere un’identità.
ITALIA OGGI, infine, affronta l’analisi politica sul caso Veltroni con un editoriale di Pierluigi Mantini deputato del Pd. Il pezzo di intitola: “Perché Veltroni è Finito”. « Ci sono problemi antichi», scrive l’autore del pezzo «l’ambiguità del comunismo all’italiana, i miti del giustizialismo, dell’iperliberismo, del federalismo, le resistenze nel costruire l’Ulivo, l’impoliticità del governo Prodi, la precipitosa costituzione del Pd» E per quanto riguarda errori più attuali e meno ideologici, Mantini ricorda che il Pd, «invece di pensare alle nuove regole dell’economia, propone al capo dello Stato di nominare Mina senatrice a vita; si organizzano manifestazioni per difendere la costituzione dall’attacco distruttivo di Berlusconi ma si dimentica che la modifica più significativa della Costituzione è stata fatta dal centrosinistra nel 2001, da soli, con una ristretta maggioranza; non c’è nessuno dirigente che levi la voce per ricordare a Di Pietro che potere e giustizia sono poteri distinti e separati e che l’uso di provvedimenti giudiziari contro gli avversari politici è tipico di una cultura totalitaria»
E ora, cosa dovrebbe fare il Pd? «La vera sfida su cui il Pd dovrebbe caratterizzare la sua proposta riformista» sostiene il deputato del Pd «sta nel recupero di risorse dal sistema pensionasti, aumentando di due anni l’età lavorativa; sta nel coraggio di proporre non l’eliminazione ma la trasformazione delle provincia: dovrebbero esserci meno enti con spese correnti di 17 miliardi l’anno; il Pd dovrebbe essere protagonista di un impegno, accanto al rigore contro la criminalità, per a cittadinanza piena e il diritto di voto dei milioni di nuovi italiani che vivono, producono, sostengono le pensioni nel nostro Paese. Veltroni ha avuto la chance lungo un percorso stretto e difficile, di un cambio reale di visione e di politica. Si poteva fare, non lo ha fatto. Veltroni va via, ma il PD resta con sui problemi irrisolti e anzi aggravati»
ALEMANNO
IL MANIFESTO – Il sindaco di Roma pensa a insediamenti sorvegliati ma oltre il raccordo. Insorgono i comuni limitrofi: «Non li vogliamo». Al piano del sindaco di Roma il quotidiano comunista dedica un ampio approfondimento in cui si definiscono «abusivi» i tre provvedimenti del piano Alemanno. Primo: vietare l’ingresso al centro storico di immigrati con borsoni. Secondo: demolizione delle baracche e dei ricoveri di fortuna. Terzo: restituzione delle armi ai vigili urbani.
AFGHANISTAN
CORRIERE DELLA SERA – Mai come nel 2008 l’Afghanistan ha registrato un numero tanto elevato di vittime civili. In totale 2.118 morti, secondo il rapporto diffuso ieri dalla missione di Assistenza delle Nazioni Unite a Kabul (Unama). Rispetto al 2007 quando le vittime erano state 1.523, si è registrato un aumento del 40%. Il più alto dall’arrivo delle truppe americane nel Paese dal 2001.
ANTINORI
CORRIERE DELLA SERA – Il ginecologo Severino Antinori pioniere della fecondazione in vitro, fra un mese procederà alla fecondazione chiesta dalla moglie di un marito in coma da cui saranno prelevati gli spermatozoi. Contrari il Vaticano («Quanto sta accadendo costituisce un illecito grave poiché per un atto di procreazione serve il consenso di entrambi i genitori) e l’associazione Coscioni per cui manca lo stesso requisito.
LA REPUBBLICA: “Vuole un figlio dal marito in coma via libera all’intervento dei medici”. Richiamo in prima e pezzo a pagina 17. Accade a Vigevano: lui colpito da tumore fulminante al cervello, 35enne, lei moglie di 32. Il Policlinico di Pavia preleva il liquido seminale e si dice disposto alla fecondazione assistita, ma subito nascono polemiche. Monsignor Fisichella: «Credo che un figlio debba sempre essere un atto d’amore, non un esperimento da laboratorio», cui l’avvocato della donna, Claudio Diani ribatte: «Le stesse persone che sostenevano che la povera Eluana doveva essere tenuta in vita, ora trattano quest’uomo come fosse una cosa». In appoggio interviste parallele: a monsignor Elio Sgreccia (“Eticamente inaccettabile serva una legge più chiara”) e al ginecologo Carlo Flamigni (“Non vedo nessuna minaccia tenta di dare vita a un sogno”).
MILLS
LA REPUBBLICA – dà ampio spazio alla cronaca e ai retroscena. Mills condannato a 4 anni e 6 mesi fu corrotto da Berlusconi. Che però non è processabile per il lodo Alfano. Secondo Claudio Tito (“Consulta, l’incubo del premier: «Ora cancelleranno il lodo Alfano»”) Berlusconi sarebbe molto preoccupato e si aspetterebbe un giudizio in incostituzionalità da parte dei giudici costituzionali.
AVVENIRE – Una pagina è dedicata alla condanna di quattro anni e mezzo di carcere comminata all’avvocato inglese. Mills è stato pagato 600mila dollari da Fininvest per testimoniare il falso in due processi del 1998 su la corruzione della Guardia di Finanza e su la All Iberian. Il Pdl parla di sentenza ad orologeria, ordita per attaccare il capo del governo Silvio Brlusconi. L’Idv invece, per bocca dello stesso Di Pietro, chiede a gran voce le dimissioni del premier. La verità è che Berlusconi non potrà essere processato finche non si scoglierà il nodo di costituzionalità sul Lodo Alfano, che non consente processi a carico delle quattro più alte cariche dello Stato.
FINE VITA
LA STAMPA – Si dà conto della decisione del governo francese di dare un contributo di circa 47 euro al giorno ai dipendenti che si assentano (al massimo per tre settimane) per assistere un parente in fin di vita, insomma una sorta di assegno di cura. La norma è stata approvata all’unanimità da tutte le forze politiche. Commento del sociologo Cristiano Gori: «In Italia le persone con un malato in casa sono lasciate sole» e quindi «ci vorrebbe più Stato». Peccato che l’esempio francese vada nella direzione opposta…
AVVENIRE – Ancora spazio al caso Englaro, perché i Carabinieri, su invito dei medici che hanno eseguito l’autopsia, hanno acquisito le cartelle cliniche della ragazza. Non convince la velocità del decesso. In un box in basso si parla del DDl sul «Fine Vita». Sarà in Senato il 5 marzo prossimo, così è stato deciso dai capi gruppo di Palazzo Madama. Si prospetta una larga maggioranza a sostegno della legge. La Binetti, nel frattempo, dichiara apertamente il suo sostegno.
CSR
SOLE24ORE – Etichetta in braille per il Dixan: per la prima volta le lettere dell’alfabeto dei non vedenti saranno stampate sulle confezioni dei detersivi della Henkel. Si parte a metà marzo e in braille saranno non solo il nome del prodotto ma anche le etichette e le istruzioni per l’uso. È il risultato del progetto Braille Labels che l’azienda sta portando avanti con l’Unione dei ciechi e degli ipovedenti. In generale, le cifre della csr Henkel sono importanti: 19 milioni di dollari investiti a livello mondiale per sostenere quasi 6mila progetti in 108 paesi per il programma Mit, che incentiva il volontariato dei dipendenti a favore dei bambini; 1371 i progetti varati nel mondo a favore di 45mila bambini.
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