Non profit

Imprese sussidiarie

Presentato a Roma il Terzo Rapporto sulla sussidiarietà

di Maurizio Regosa

La sussidiarietà e il mondo delle piccole e media imprese. Un rapporto ancora poco indagato, ma essenziale, sul quale fa luce adesso il terzo rapporto della Fondazione per la Sussidiarietà presentato stamattina alla Camera dei deputati (alla presenza del vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi, del ministro Maurizio Sacconi, degli onorevoli Massimo D’Alema ed Enrico Letta, del sindaco di Roma, Gianni Alemanno).

Il mondo delle Pmi

«Evocato quando serve, ma poi poco interrogato ed ascoltato»: secondo Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione, l’universo produttivo su cui si regge il nostro paese, quello appunto delle piccole e medie imprese, è un mondo delle cui esigenze si dovrebbe tener conto con maggior coerenza e con maggior sistematicità. Per capire di quali supporti ha bisogno, di che tipo di accompagnamenti. «Per comprenderne anche», ha spiegato Vittadini,« i desiderata. Tanto più in un momento come l’attuale. Anche se quando abbiamo cominciato a ragionare su questa ricerca, la crisi non era ancora scoppiata». Tanto più benvenuto, dunque, questo Rapporto sulla sussidiarietà 2008 (edito da Mondadori, disponibile in libreria: in copertina il Ritratto di Luca Pacioli di Jacopo de’ Barbari, che evoca il fare e il collaborare). Un volume prezioso per le domande che pone e le evidenze che permette di registrare. Le domande anzitutto: in che termini la sussidiarietà – per lo più declinata come geometria di poteri, in senso verticale ed orizzontale – può permeare il tessuto produttivo? Se lo fa, aiuta le imprese a essere competitive e a rimanere sul mercato? Cambia il clima della produzione, riuscendo a porre finalmente al centro la persona e non “la risorsa”?

Alcuni risultati

In effetti il potenziale interno ed esterno della sussidiarietà applicata al sistema imprenditoriale – dalla ricerca presentata stamane anche da Carlo Lauro, professore di  statistica all’università di Napoli – risulta enorme. Né mancano le sorprese. La declinazione interna della sussidiarietà, ad esempio, si concretizza in un approccio relazionale, in uno stile di “governo” all’interno della struttura che produce non solo ben-essere e valorizza le capacità individuali ma facilita gli scambi e la produttività (relativizzando l’obiettivo del profitto e talvolta subordinando la crescita alla qualità del lavoro), mentre quella esterna spinge le imprese a un atteggiamento più collaborativo che competitivo, facendo sì che si valorizzino logiche di rete, di distretto e associazionistiche (nel duplice aspetto difensivo, di rete di sostegno, e innovativo, per quanto attiene alle reti di apertura scambio e crescita). Potremmo definirla in termini sintetici una cultura della solidarietà applicata al mondo imprenditoriale che ha lunghe radici (nel mondo cattolico, ma non solo). Una solidarietà che corregge la (fin troppo) consueta rappresentazione di piccole e medie imprese guidate dispoticamente da un padre-padrone. E che ha un ampio potenziale di diffusione (sia pure in un mosaico che ha sfumature, differenze e mostra sensibilità anche varie). Le premesse ci sono tutte: basta guardare a come le aziende interpellate hanno risposto al questionario relativamente all’essere più o meno sussidiarietà-oriented e alla loro disponibilità a continuare a impegnarsi per il paese.

Le richieste delle aziende

Si tratta di prendere atto di questo panorama, di questa ricchezza vera che anima il Paese, di continuare a lavorarci in sede anche teorica (analizzando cosa significhi pensare l’impresa in termini di rapporti sussidiari, di alleanza inevitabile con i lavoratori e non di contrapposizione a prioristica), ma anche di fare scelte coerenti. Il mondo delle Pmi, ha concluso Vittadini, «vuole essere più libero di intraprendere, desidera una semplificazione amministrativa, fiscale e burocratica tante volte promessa e non ancora raggiunta. Deve poter svolgere quell’alleanza naturale con le persone che vi lavorano e che contribuiscono alla sua crescita. Intende superare quel darwinismo fra imprese che spinge a una concorrenza poco efficace e puntare invece a una significativa logica collaborativa e distrettuale».

La riposta della politica

A questo punto si è aperto un dibattito con i rappresentanti politici intervenuti, coordinato da Bernhard Scholz, presidente di Cdo. Tutti concordi nel riconoscere alla Pmi un ruolo centrale: Sacconi come D’Alema e Letta hanno molto insistito su questo punto. In particolare il ministro ha richiamato l’attenzione sulla contrattazione decentrata e le possibilità che un secondo livello contrattuale che rifletta le caratteristiche e le condizioni di un territorio e di una singola azienda potrebbe liberare risorse ed energie. L’ex titolare degli Esteri ha invece sottolineato il ruolo del credito e l’importanza di una prospettiva più internazionale, mentre Enrico Letta ha individuato nella crisi l’occasione per mettere a punto ammortizzatori sociali adeguati anche per i lavoratori delle Pmi e ha richiamato la necessità che lo Stato acceleri i pagamenti alle aziende creditrici (magari ricorrendo alla Cassa depositi e prestiti che potrebbe anticipare i crediti). Un modo per affrontare la crisi evitando che le imprese vadano in difficoltà.

 

 

 


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