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Quei tre minuti a bordo campo, da riempire in qualche modo

di Redazione

Il professore di Scienze osserva dalla finestra della sala insegnanti lo sciame di studenti che, al suono della campanella, si riversa fuori dall’istituto. Gruppi di ragazzi stazionano sul marciapiede, alcuni smanettano con i cellulari, si mostrano le foto l’un l’altro e giù risate, si deridono tra loro. La comunicazione è ridotta ai minimi termini, qualche parola, poi la denigrazione. Il professore di Scienze scuote la testa, si rivolge a me e dice: «Siamo davanti a una generazione di disagiati» e subito dopo, quasi a rincarare la dose, o come se temesse che io non abbia capito la portata della sua affermazione, aggiunge: «È una generazione di disturbati mentali». Mi spiega che in classe, durante la ricreazione, tenta di stabilire una relazione con gli studenti, cerca di parlare di cose che non riguardano il programma di studio, ma tutto è molto difficile. Infine, quasi a lanciare un grido di allarme, sostiene che questa generazione ci sta sfuggendo di mano, la scuola non fa niente per loro: «Dovremmo discutere dei loro problemi e non di circolari ministeriali e decreti». Come dargli torto?
In palestra la situazione non è diversa. A ogni proposta didattica che implica mettersi in gioco su nuovi terreni, gli studenti vanno in tilt, mettono le mani avanti, dicono che non sono capaci, che questo o quel nuovo sport fa schifo, che è meglio ciò che sanno fare perché si sentono più sicuri. Hanno il timore di sbagliare, di non essere perfetti al primo colpo; l’errore li terrorizza e soprattutto temono di essere denigrati dai compagni. Quando l’attività sportiva prevede un certo numero di giocatori, mentre gli altri devono seguire a rotazione, stazionando a bordo campo due o tre minuti, spuntano iPod e cuffie o cellulari ultimo modello per vedere i film. Nessuno riesce a stare fermo in attesa del proprio turno, nessuno da bordo campo guarda il gioco degli altri, o incoraggia i compagni. Le cuffie nelle orecchie rappresentano la separazione dal contesto e l’immersione nel proprio mondo virtuale.

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