Economia

La guerra dei crediti sbarca in Europa

Le imprese associate al Taiis si rivolgono a Bruxelles

di Maurizio Regosa

Un esposto  alla Commissione Europea per ottenere quel che altrove è ovvio. Ovvero il pagamento in tempi ragionevole dei servizi prestati alla Pubblica amministrazione. È quanto è stato costretto a decidere il Taiis (tavolo interassociativo delle imprese di servizi: www.taiis.it), che stamane – nel corso di una conferenza stampa – ha illustrato il contesto che ha portato a questa scelta e le modalità tecniche dell’iniziative.  

Una situazione difficile

Il contesto è ormai noto. Moltissime aziende aspettano da mesi e mesi i pagamenti da parte della Pubblica amministrazione di servizi resi in molti settori(si è giunti a contare 893 giorni di ritardo e a una stima totale dei crediti di 70 miliardi di euro, a cui vanno aggiunti oltre 16 miliardi di euro a titolo di interessi). Fra queste imprese anche circa 6mila cooperative, rappresentate al Taiss da Confcooperative, Legacoop e Agci: sono in attesa di circa 25 miliardi, alcune anche da più di due anni. Una situazione quanto meno imbarazzante, specie se comparata a quanto avviene nelle altre nazioni europee: l’Italia è al penultimo posto nella graduatoria degli stati pagatori puntuali. Dopo aver aspettato (invano) segnali positivi, aver constatato che la cosiddetta norma “anticrisi” non risolve la situazione (ed anzi la peggiora, introducendo una via preferenziale per chi fa ulteriori sconti), dopo il nulla di fatto dell’ inconto con il ministro Raffaele Fitto (titolare del dicastero per i Rapporti con le Regioni), le aziende hanno deciso di chiedere alla Commissione se esistono incoerenze fra le Direttive europee e le leggi nazionali.

Fare le leggi e non applicarle

L’esposto (che nel giro di qualche giorno arriverà a Bruxelles) lo ha illustrato l’avvocato Giustino Ciampoli, spiegandone anzitutto la ratio. La Direttiva 35 del 2000 – con cui l’Unione Europea prendeva atto della lentezza con cui gli stati pagavano i loro debiti – ha introdotto un tempo certo e la possibilità riservata alle aziende di caricare sulle amministrazioni in difetto l’onere degli interessi passivi. Una Direttiva che prontamente l’Italia ha recepito con una legge. Che poi però non solo non è diventata prassi quotidiana ma è stata sovente smentita da circolari che stabilivano, di volta in volta, tempi di pagamento differenti da quelli introdotti dalla Direttiva e dalla legge nazionale (e ovviamente più lunghi). Configurando così un conflitto sul quale la Commissione europea è chiamata a esprimersi. Qualora ravvedesse una contraddizione fra leggi e regolamenti (contraddizione che nell’esposto è suffragata da una ampia casistica), la Commissione potrebbe chiedere al governo italiano delucidazioni e iniziative di carattere correttivo. Nel caso infine l’Italia non si “ravvedesse”, la Commissione potrebbe aprire una procedura d’infrazione.

Si potevano fare altre scelte

«Non fa certo piacere» – hanno detto i rappresentanti del Taiis – «presentare un esposto in Europa contro il proprio paese, ma non avevamo scelta», visto il «teatrino» che gli ultimi tre governi hanno messo in atto pur di non affrontare questo problema. Che sta diventando sempre più spinoso e che non è stato affrontato nemmeno nel cosiddetto decreto “anticrisi”. Sarebbe stato più logico accelerare i tempi dei pagamenti, vista la crescente difficoltà di avere credito e stante la situazione economica complessiva. «In Francia, che pure paga in tempi molto ragionevoli, il governo ha seguito esattamente questa strada: come è scoppiata la crisi ha accorciato da 90 a 30 giorni i termini per il pagamento», ha spiegato Franco Tumino, presidente Legacoop Servizi. Una scelta, che evidentemente ha tenuto conto, ha aggiunto Massimo Stronati, presidente di Federlavoro Servizi (Confcooperative), «del fatto che queste aziende sono labour intensive, e che dal 50 all’85% del loro fatturato serve per pagare gli stipendi ai lavoratori». Da noi, sulla base di chissà quali considerazioni, si è deciso diversamente.  

 


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