Non profit
Zimbabwe, un paese oltre l’immaginabile
Quest'anno non sono state riaperte neppure le scuole: non ci sono soldi per gli insegnanti. Intanto è riesploso il colera. E la disoccupazione sfiora il 90%...
di Redazione
«L’orrore… l’orrore». Chissà se un giorno, mentre sarà sul punto di abbracciare la morte, Robert Gabriel Mugabe, ex combattente per la liberazione coloniale dello Zimbabwe e dittatore ottantenne sul viale del tramonto, avrà il coraggio di liberarsi dai suoi incubi come fece il colonnello Kurz in Cuore di tenebra e prendere le distanze dagli orrori che la sua follia è riuscita a generare! Se è vero che gli orrori della Storia si misurano anche con le cifre, quelle proposte dallo Zimbabwe non lasciano spazi all’immaginazione più tetra.
In un Paese definito da anni al collasso, gli ultimi sviluppi hanno qualcosa di mostruoso. Prendiamo il colera, una malattia infettiva che nel 2005 (ultimo anno recensito dall’Oms) ha toccato 52 Paesi registrando 2.272 decessi su oltre 122mila persone colpite. In soli sei mesi, e cioè dall’agosto 2008, lo Zimbabwe ha contabilizzato 65mila persone contagiate e altre 3.300 uccise. «Ciò che accade oggi in questo Paese», ha dichiarato il vicedirettore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità, David Heymann, «è molto simile a quanto è potuto accadere nel Medioevo durante le grandi epidemie di colera, con la differenza che all’epoca non si sapeva nulla dei meccanismi di contagio».
Oggi sul colera si sa tutto. Mugabe, a quanto pare, no. Oppure fa finta di non sapere. Di non sapere che con la riforma agraria adottata nel 2000 per cacciare 4mila proprietari terrieri bianchi, la consegna delle terre a fedeli del regime o contadini neri non qualificati ha spinto il “granaio dell’Africa australe” sull’orlo del baratro. Risultato: su 12 milioni di abitanti, sette rimangono in balìa degli aiuti del Programma alimentare mondiale. Ma la comunità internazionale sta perdendo la pazienza. «Se la richiesta di fondi del 2008 è stata soddisfatta al 72%», sostiene la portavoce dell’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari, Elisabeth Byrs, «il 2009 si annuncia drammatico. Abbiamo chiesto 567 milioni di dollari, ma non c’è stato seguito».
Già in tempi normali, la fame non bastava più a mobilitare il mondo. Figuriamoci in tempi di crisi economica. Ma probabilmente Mugabe non lo sa. O meglio, lo sa ma fa ancora finta di non sapere. Di non sapere che il disfacimento totale delle infrastrutture sanitarie e l’insalubrità generale in cui versano la stragande maggioranza degli zimbabweiani espongono la metà della popolazione al colera. Non sapere che nel luglio 2008 l’inflazione aveva raggiunto la cifra record del 231 milioni per cento (oggi si parla di miliardi). Non sapere quindi che nei mercati di Harare, la capitale, il dollaro Usa viene scambiato a circa 4mila miliardi di dollari zimbabweiani.
Una situazione tanto grottesca da spingere la Banca centrale dello Zimbabwe a svalutare per l’ennesima volta la moneta locale cancellando 12 zeri dagli ultimi bigliettoni freschi di stampa.
Anche in quel caso, c’è da giurare che Mugabe non ne sappia nulla. Così come sua moglie, intravista in Malaysia a passare vacanze da urlo in alberghi lussuosi. Chissà come i pochi lavoratori ancora rintracciabili sul mercato nazionale l’hanno presa. In Zimbabwe sono rimasti 480mila contro 3,6 milioni nel 2003. Tra chi non lavora ci sono gli insegnanti. Dopo anni di silenzio, quelli che un tempo incarnavano il successo del modello socio-economico zimbabweiano, oggi hanno deciso di scioperare. «Ad inizio gennaio ho ricevuto uno stipendio di 26mila miliardi di dollari, cioè otto dollari americani. Come posso andare avanti?», si chiede sconsolato Charles Mubwandariakwa. Niente, avanti non si va. Al massimo si scappa in Sudafrica, come hanno fatto due insegnanti su tre.
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