Il giorno del suo quindicesimo compleanno, Silvia mi ha atteso con pazienza sulla soglia della palestra con una scatola in mano. Quando mi ha visto comparire, l’ha aperta e mi ha offerto il primo marron glacé, poi ha attraversato il corridoio di corsa e ha raggiunto la sua classe, visto che l’insegnante di greco non tollera neppure un minuto di ritardo. Anzi: durante i consigli di classe, si lamenta sempre dei continui ritardi degli studenti, e a chi gli fa rilevare che si potrebbe anche soprassedere, risponde che pochi minuti non sono nulla se rapportati ai secoli che hanno attraversato la cultura greca, ma sono tanti nell’ambito di un’ora di lezione.
Il marron glacé offertomi da Silvia è il giusto compenso per quanto accade ogni lunedì alla terza ora, quando c’è lezione di ginnastica. Silvia entra in palestra con andatura claudicante, e io, fingendo sorpresa, non posso fare a meno di chiederle il motivo, anche se so già la risposta. Dall’inizio dell’anno scolastico, ogni lunedì Silvia dà sempre la stessa risposta: «Mi hanno massacrato le caviglie». A volte aggiunge delle varianti, che non cambiano il contenuto: «Ho le caviglie a pezzi!». Subito dopo aver pronunciato la fatidica frase, Silvia si addentra in una descrizione epica della partita, visto che gioca a calcio femminile, in difesa: durante la partita del sabato sera le avversarie mirano alle sue caviglie, pur di segnare, e lei si oppone con tutte le sue forze, «alla difesa ultima vana» per dirla con un verso di una poesia di Umberto Saba dedicata al portiere, prima che la palla superi lei e la soglia della porta.
La descrizione di Silvia si fa sempre più dettagliata, lei si accalora e le sue giugulari si gonfiano. D’altronde, come potrebbe essere altrimenti, se in campo infuria la battaglia e tra schizzi di fango e tentativi di rinviare la palla lei ci rimette le caviglie? Poi Silvia si unisce ai compagni di classe per iniziare la lezione di ginnastica e mi accorgo che il suo claudicare è d’improvviso scomparso. È così ogni lunedì.
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