Non profit

Sociale e sanitario in cerca di integrazione

Un nuovo modello è possibile. Con il terzo settore protagonista

di Luca Zanfei

Un primo progetto in Piemonte. Qualche sperimentazione in altre regioni. Ma sinora la tanto auspicata innovazione
del welfare della salute è rimasta sulla carta.
Eppure con una vera sussidiarietà le Regioni potrebbero risparmiare.
E l’utente beneficiare di servizi meno frammentati
Come se non bastassero i tagli e i bilanci ridotti all’osso, ora ci si mette anche l’ultimo allarme del Ceis – Centre for Economic and International Studies di Tor Vergata a funestare i sogni degli amministratori locali. Il continuo incremento del debito sanitario e la relativa ricaduta sui conti delle famiglie, ormai impongono un repentino cambiamento di rotta. Ma da dove cominciare? Se fosse per il ministro Sacconi, si andrebbe subito verso una medicina di territorio. Peccato che la realtà sia ben diversa. E se le azioni intraprese dai governatori si sono finora ridotte alla chiusura degli ospedali e alla razionalizzazione di posti letto, da più parti si invita a ripensare la governance in un’ottica di estensione dell’offerta di rete di prossimità. La stessa Fiaso – Federazione italiana aziende sanitarie ospedaliere nel rapporto Un modello per il governo del territorio delle aziende sanitarie evidenzia come l’investimento sul territorio e sulle strutture intermedie e l’assistenza domiciliare integrata possa avere una ricaduta positiva sul sistema, riducendo i costi complessivi e i casi di inappropriatezze.
Nuova organizzazione
Tesi sostenuta a più riprese dalla cooperazione sociale che, da anni, insiste sulla necessità di pensare a sistemi di presa in carico integrata dell’utente, proponendo esperienze innovative di accompagnamento per disabili, Adi e residenzialità assistita. Eppure nelle tre regioni con più alto deficit di bilancio, «l’integrazione socio-sanitaria non è decollata», spiega Sergio D’Angelo, vicepresidente di Legacoopsociali e presidente del consorzio Gesco di Napoli. «L’azione per la riorganizzazione dei sistemi sanitari regionali si è limitata ai tagli da effettuare. Sarebbe stato invece opportuno eliminare la frammentarietà degli interventi e la sovrapposizione tra i soggetti erogatori, operando una razionalizzazione tra il sistema di offerta pubblica e quello di convenzioni in regime di accreditamento».
Perché, come rilevato anche dal Formez, il problema non è tanto la spesa, quanto l’efficienza e l’organizzazione del sistema. Ma non solo. «Il caso della Lombardia è sintomatico», spiega Alberto Leoni, presidente di Comunità Solidali, società del gruppo Cgm che si occupa di disabilità, psichiatria e anziani. «Qui il modello innovativo efficiente si riduce alle forme di accreditamento in ambito sanitario, indirizzate alle sole imprese private. Non c’è una vera cultura della sussidiarietà e dell’integrazione tra servizi sociali e sanitari. La parte sociale di competenza dei Comuni rimane all’ente pubblico con enormi costi di gestione, la parte sanitaria va ai privati. Questo, a lungo andare, si ripercuote sulle famiglie che spesso vanno a cercare altrove pagando di tasca propria».

Nuova mentalità
Ecco perché dal mondo della cooperazione stanno nascendo progetti nuovi che ridisegnano anche lo stesso ruolo dell’impresa sociale all’interno del sistema di prestazione. È il caso del Piemonte, dove Federsolidarietà sta cercando di avviare un’esperienza innovativa che potrebbe fare da modello per tutto il territorio nazionale. «Si tratta di un progetto di sanità leggera per i servizi di riabilitazione e non solo», spiega Elide Tisi, presidente di Federsolidarietà Piemonte. «Per ora siamo ancora nella fase di ideazione perché il settore della sanità pura è ancora un campo nuovo per la cooperazione sociale. Ma non possiamo fare altrimenti perché, nonostante un’attenzione particolare da parte della Regione Piemonte per l’integrazione socio – sanitaria, l’unico modo per garantire un servizio duraturo e realmente efficace è quello di provare ad entrare in ambiti forse meno vicini alla nostra esperienza, ma sicuramente più innovativi».
Una filosofia che trova d’accordo anche Leoni: «Oggi c’è bisogno di cambiare mentalità», spiega, «non possiamo più accontentarci dell’assistenza domiciliare o della presa in carico di piccole fette di intervento. Dobbiamo invece rimetterci in gioco, arrivando a gestire interi servizi complessi». Ecco perché anche Cgm, con il progetto Welfare Italia, sta cercando di mettere in atto un sistema di sanità leggera fondato su una nuova concezione dell’integrazione. «Su base territoriale ora c’è bisogno di un punto di incontro che vada oltre gli strumenti finora sperimentati», afferma Leoni .«L’idea è quella di coinvolgere anche i medici di medicina generale e di affiancare agli ambulatori uno sportello di raccolta della domanda e coordinamento dei servizi. Solo così si potrebbe costruire un vero percorso di presa in carico della persona. La frontiera del socio-sanitario è quella di mutualizzare la domanda per poi organizzare l’offerta a più livelli».

Nuovi spazi
La stessa ottica che nel 2008 ha spinto Legacoopsociali a sottoscrivere un protocollo di intesa con Fimiv, sfruttando l’opportunità dei fondi integrativi promossi per decreto dall’allora ministro della Salute, Livia Turco. «L’obiettivo è quello di accrescere l’offerta di servizi socio-sanitari e assistenziali, integrativi a quelli coperti dal Servizio sanitario nazionale», spiega ancora D’Angelo. «Stiamo partendo con la sperimentazione in Liguria e nel Lazio, non solo nell’ambito della cooperazione sociale ma anche in quella di consumo. È una sfida interessante perché la cooperazione è chiamata concretamente a costituire un sistema di offerta pubblico/privato a livello territoriale, in grado di rispondere, con costi sostenibili e in termini qualitativi alti, ai diversi bisogni di assistenza dei cittadini». «Insomma», conclude Sergio D’Angelo, «prima che un federalismo senza compartecipazione inasprisca le differenze tra servizi sanitari regionali, occorre pensare ad abbassare la spesa a carico delle famiglie, con servizi che lo stesso Sistema sanitario nazionale non copre e che la cooperazione sociale potrebbe provare ad occupare, come le attività riabilitative e l’odontoiatria».


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