Welfare

ISRAELE. L’arresto del refusenik pacifista

Noam Livne, 34 anni, è l’ obiettore di coscienza più famoso d’Israele. Durante i bombardamenti su Gaza è stato richiamato dall'esercito come riservista. Ha rifiutato, il 19 gennaio 2009 è stato arrestato. Poche ore prima aveva parlato con Vita

di Daniele Biella

«Sono pronto. Ho qui davanti a me la borsa con dentro l’occorrente: qualche cambio, alcuni libri, penna e diario. Pronto per la prigione». Era il pomeriggio di sabato 17 gennaio 2009, quando l’israeliano Noam Livne, al telefono dalla sua casa di Tel Aviv, rivolse queste parole a Vita. La sera di due giorni dopo, lunedì 19 gennaio, Livne, 34 anni, aveva appena finito il rancio in una delle carceri del suo paese. «Sarà la seconda volta che mi porteranno dentro», aveva predetto il giovane. «è gia successo otto anni fa, quando ho detto “no” per la prima volta». “No” a che cosa? «Alla chiamata cose riservista per prestare servizio militare nei Territori palestinesi, i luoghi che il mio paese sta occupando da decenni». Livne è un refusenik, un obiettore di coscienza al servizio militare, che in Israele è obbligatorio.

Allora era il 2001. Livne aveva già passato in Tsahal, l’esercito, i tre anni canonici (due per le ragazze): come tenente del genio militare, ha dato ordini di imboscate, attacchi, perquisizioni, anche nei Territori palestinesi, dove era stato mandato più volte. Ma quell’anno venne richiamato in servizio, cosa che può avvenire per tutti i cittadini israeliani fino ai 40 anni. Lui rifiutò, adducendo motivazioni “etiche”. Motivazioni che i superiori non accettarono: per questo si fece tre settimane di prigione. Otto anni dopo, con la guerra di Gaza verso l’ipotetica conclusione, la storia si ripete. «Mi hanno richiamato settimana scorsa. Ho rifiutato di nuovo. Verrò sottoposto a processo, il verdetto è già scritto». E così è stato: ieri, dopo il processo, il giovane refusenik non ha fatto ritorno a casa. È dietro le sbarre, ci rimarrà non sa ancora per quanto.

«Ma non cambierò idea», ribadisce Livne. Pacifista convinto, non è solo nella sua lotta quasi decennale per vedere garantita l’obiezione di coscienza in Israele. La sua azione è stato intrapresa da tanti. Almeno 300, tanti quanti sono gli attivisti dell’associazione che lui stesso ha contribuito a fondare: Courage to refuse, “Il coraggio di rifiutare”. Un’associazione (il cui sito ufficiale è anche in inglese) che in questi giorni è scesa compatta a dimostrare il suo rifiuto all’attacco del proprio esercito nella Striscia di Gaza, producendo anche il video disponibile qui a sinistra.

«Rifiutarmi di servire nei territori è stata una decisione difficilissima, la più difficile che abbia mai preso: stavo andando contro tutta la mia educazione, mi stavo togliendo dalla società, mettendomi “contro” di essa», aveva detto Livne lo scorso 18 novembre, a Milano, invitato a parlare del conflitto israelo-palestinese all’interno del Forum umanista europeo sulla nonviolenza. «Sapevo che dal momento in cui avrei disobbedito alla chiamata, sarei stato chiamato “traditore”, “vigliacco”, “egoista”. Però non ho più potuto mentire a me stesso. Per questo ho reso pubblico il mio rifiuto, nella speranza che potesse essere d’esempio per molti altri, e servisse a far passare il messaggio che la soluzione al conflitto non passa di certo attraverso le armi».

Parole forti, nobili. Ma ancora oggi inascoltate: i 1.315 morti di Gaza lo dimostrano. Così come lo dimostra il fatto che, proprio il giorno del cessate-il-fuoco unilaterale di Israele, il refusenik più famoso del suo paese sia finito di nuovo dietro le sbarre. «Ma nonostrante tutto, la speranza non la perdo», replica Livne, «ora più che mai».


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