Cultura

Io sono la missionariabdel verbo di Olivetti

Personaggi Laura Curino, attrice, racconta la sua avventura di "teatro civile"

di Redazione

Da oltre dieci anni porta in giro per l’Italia due spettacoli, uno dedicato ad Adriano e l’altro al padre Camillo. E ogni volta ha raccolto un successo e un interesse inattesi. Dove sta il segreto? Lei stessa ce lo spiega S i ride, si pensa, ci si commuove con il Dittico su Camillo e Adriano Olivetti che Laura Curino sta portando ormai da anni in tournée in tutta Italia raccogliendo un grandissimo quanto imprevisto successo. Ma soprattutto si prova nostalgia. E si rimpiangono i tempi in cui fare impresa non era solo creare profitto, ma anche cultura, bellezza, arte. In cui Ivrea era la culla di un sogno urbanistico, industriale, culturale, civile unico non solo nel nostro Paese, ma in tutta Europa. In cui era ancora lecito coltivare una passione e fare di essa la propria ragione di vita. Ecco: Adriano Olivetti era un uomo che aveva provato a fare proprio questo. A non far finta di niente! Come suo padre. «Camillo», incalza Laura Curino, «era un personaggio singolare, possedeva una fabbrica, ma era socialista. Era ebreo, aveva una moglie valdese, abitava in un ex convento cattolico ed era ateo. Credeva nella cultura e nel progresso scientifico, era stimato come inventore, aveva fondato giornali e pubblicava articoli veementi, ma non mandava i figli a scuola… per poi, a casa, fargli concentrare le elementari in due anni, sotto la guida della moglie Luisa, che era maestra. Ma il cortile del convento era sempre pieno di bambini: gli Olivetti, i figli del fattore, i loro amici, i figli degli operai… Adriano! Elena! Dino…».

Vita: Perciò, nei suoi spettacoli su Olivetti, ha scelto di partire da Camillo…
Laura Curino: Sì. Lui era personaggio eclettico, anticonformista, capriccioso, anche rompiscatole? di cui mi sono innamorata. Il progetto è nato così, con Camillo, socialista della prima ora, antifascista morto in fuga durante le persecuzioni della Repubblica di Salò. Ideali raccolti e ampliati da Adriano, che rischiò di venir cacciato dall’Unione industriali per aver concesso, prima che fosse chiesto, il sabato libero alle maestranze. È così che è nato il testo, scritto a quattro mani con Gabriele Vacis, che ne ha curato anche la regia.
Vita: Ma ha ancora un senso, oggi, parlare di un modello imprenditoriale di questo tipo?
Curino: Oggi, a dodici anni dalla prima messa in scena di Camillo e a dieci da quella di Adriano Olivetti, possiamo vedere gli effetti del lavorare sul nulla, perché oggi le cose sono più complicate: si fanno i soldi sul nulla, investendo, comprando e vendendo il nulla. Si fanno i soldi? semplicemente spostandoli e basta. Quello offerto dagli Olivetti è stato un modello di imprenditoria seria, responsabile? di imprenditoria, insomma. Oggi la gente è spaventata, il messaggio veicolato è quello che non si può far nulla, non si può sperare più nulla, bisogna rimanere fermi. Eppure ci sono, ci devono essere dei modelli positivi, non esiste un solo modello. Un modello vincente non mira solo al profitto: vincente è chi coltiva le capacità delle persone!
Vita: È proprio la filosofia con cui lei ha deciso di darsi al teatro?
Curino: Ho coltivato la passione sin da bambina, con tenacia, tra mille difficoltà. Mia madre non mi ha messo i bastoni tra le ruote? ha disboscato un’intera foresta per metterla di traverso! Ho avuto però la fortuna di trovare dei compagni di viaggio con cui sono cresciuta, con cui abbiamo costruito il nostro teatro, giorno per giorno. Pensi: quando abbiamo cominciato, Gabriele Vacis aveva 17 anni, io 15 e Lucio Diana, che oggi è un apprezzato scenografo, era il più piccolo, perché di anni ne aveva solamente 12! Eravamo ragazzini che giocano? a fare teatro. E poi la famiglia si è allargata, con la complicità di altri amici e compagni di strada: Eugenio Allegri, Marco Paolini, Lucilla Giagnoni?
Vita: E ad un certo punto avete smesso di giocare…
Curino: Certo, gli ostacoli familiari ci hanno da subito spinto a fare della nostra passione una professione e a costituire, già a 20 anni, la prima compagnia. Il nostro era un impegno speso prima nelle scuole, dove lavoravamo come animatori con bambini e ragazzi, poi nel sociale. A Settimo Torinese, dove nel frattempo mi ero trasferita, non c’era un teatro e abbiamo iniziato, giovanissimi, come organizzatori di rassegne estive. È stato un interessante connubio tra teatro e urbanistica: in una città di 60mila abitanti come Settimo, sventrata dalla crescita selvaggia, la salvaguardia e il recupero degli spazi sono stati resi possibili grazie al teatro che teneva occupate, ogni sera, le piazze con varie attività. Il progetto Città Laboratorio era finanziato dall’assessorato alla Cultura, ai Servizi sociali e all’Urbanistica. E alle compagnie che partecipavano chiedevamo, insieme agli spettacoli, anche dei corsi di formazione. Questo ha costituito per noi una base importante.
Vita: Un teatro che ha mostrato, sin dagli esordi, una grossa vocazione a lavorare sui materiali che la società ci offre.
Curino: Esercizi sulla Tavola di Mendeleev è stato, da questo punto di vista, un grandissimo spettacolo, con 20 attori, una delle tappe fondamentali nel mio percorso. Il lavoro prendeva le mosse da un laboratorio tenuto per diversi anni, che si chiamava Scuola semiprofessionale per spettatori teatrali . Da lì è nata la messa in scena del lavoro, che utilizzava la Tavola come griglia su cui impostare la ricerca. Le storie prendevano le mosse dai tre elementi che costituiscono la materia: quella evocata dall’elemento liquido, la cui caratteristica è di non avere una forma ma di assumerla in base al recipiente in cui viene collocato, era la vicenda di Herculine Barbin, un ermafrodita francese dell’Ottocento, vissuto come donna e morto suicida dopo essere stato costretto a vestire i panni di uomo. Sullo sfondo, immagini e commenti volti a illustrare le caratteristiche di questo elemento. Quello solido era rappresentato invece dal piombo, e la storia, i cui protagonisti si chiamavano Eurialo e Niso, parlava di due terroristi; sullo sfondo venivano proiettate immagini di quegli anni e, nel finale, la foto del ragazzo che a Milano impugnava la pistola, perché il piombo viene utilizzato anche nei caratteri da stampa? come può vedere si trattava di un impegno volto a coniugare i vari aspetti della vita e delle vicende umane, cronaca, chimica, letteratura? per un lavoro che mirava a ricreare unità.
Vita: Riportare l’uomo alla sua interezza, all’unità perduta. È questo il suo grande sogno?
Curino: La funzione del teatro è proprio questa e le sue ragion d’essere sono antichissime: le persone sono lì. In un mondo spersonalizzato, dove la tecnologia si sostituisce alla vita, al sangue, in cui si guarda il nulla? Il teatro ci ricorda, invece, siamo qui, gli attori sono qui, vivi, presenti, con i loro corpi. È un ridare al corpo il legame con il pensiero, un non essere più a pezzi, ma tutti interi. È un ricomporre, finalmente, l’individuo nella sua globalità.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.