Cultura

Ho preso il bollmanbcon fra Mohammed

Ridere delle nostre parole microfoni aperti in una famiglia araba

di Redazione

Le nostre case, infatti, sono un laboratorio di comicità nel quale i genitori, che faticano ad assimilare correttamente la lingua italiana, diventano i principali attori. La “p” è una lettera bandita. Con tutte le conseguenze che comporta…
di Imane Barmaki Q uando si parla di linguaggio non riesco a non pensare a tutte quelle parole storpiate che fanno parte ormai del nostro repertorio di situazioni comiche, alle frasi in italiano arabizzato, alle frasi arabe italianizzate, oppure a tutte quelle parole che noi musulmani di seconda generazione usiamo nel nostro linguaggio comune.
Le nostre case, infatti, sono un laboratorio di comicità nel quale i genitori, che faticano ad assimilare correttamente la lingua italiana, diventano i principali attori. E così, piuttosto che mangiare il pollo con le patate, si mangia allegramente tutti insieme il bollo con le batate, che con grande probabilità potrebbe essere anche di marca.
Ogni momento potrebbe essere uno sketch, anche il pranzo, dove un bel piatto di “basta”, un po’ di “salata” e la “fruta” non si negano a nessuno. Visto il periodo natalizio, non mancheranno persone che vi chiederanno se dopo un bel piatto di basta, preferite il “banettone” o il “bandoro”.

I wafer con il pomodoro
Il linguaggio non è solo comunicazione ma anche un insieme di valori semantici che variano da Paese a Paese. Il termine “basta”, ad esempio, che per gli egiziani significa quello che mangiamo ogni santo giorno, cioè la pasta, per i marocchini significa i “wafer” e quindi per un marocchino medio gli egiziani mangiano i wafer a pranzo.
Anche quando si vuole essere ospitali, si rischia di passare per portasfiga. È considerato cortese, ad esempio, quando si è invitati da qualcuno, salutare l’interlocutore con un «we3tiki el 3afia» (che Dio ti conceda salute; il “3” è la trascrizione rapida della parola che si pronuncia “taleta”), peccato però che il termine “3afia” in marocchino significhi fuoco e quindi la frase si trasforma in «che Dio ti mandi all’inferno».
In effetti, spesso, tra marocchini ed egiziani non corre proprio buon sangue.
Le comiche non riguardano solo il lessico culinario, ma abbracciano le altre sfere della vita vissuta. Infatti, perché prendere l’autobus se esiste il “bollman”? Quando ho sentito questo termine per la prima volta, non sapevo se fosse una storpiatura del termine pullman oppure se si trattasse di un nuovo super eroe che ti viene a prelevare direttamente a casa tua per portarti ovunque tu voglia. Ho avuto anche il dubbio che potesse essere un tipo di chauffeur per i musulmani immigrati in Italia.

Salam sorella
Il linguaggio è anche uno strumento fondamentale per contribuire a rafforzare la propria identità. È proprio per questo motivo che a volte capita di sentirmi dire dai ragazzi musulmani della mia età «Salam Sorella!» (“pace a te sorella”) e a me viene voglia di rispondergli: ma chi diamine ti conosce?
Oppure ci sono quelli che invece di presentarsi dicendo sono «Fratello Mohammed» abbreviano con un «Fra Mohammed», che di primo acchito potrebbe far pensare a un musulmano convertito al cristianesimo.
Termini di questo genere, a mio avviso, dovrebbero preoccuparci perché sono sinonimi di un forte attaccamento alla propria cultura d’origine che si riflette anche nel proprio modo di comunicare.
In alcuni casi sono sintomi di mancata integrazione e di una volontà di rimanere fermamente attaccati a quei termini e a quel linguaggio per enfatizzare un senso di appartenenza a un Paese che non è il nostro ma è quello dei nostri genitori.

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