Cultura

Vent’anni di storiabe di identità

servizio civile Temi e numeri del convegno della Cnesc

di Maurizio Regosa

Con una quota dei volontari che è passata dal 20,4% del 2005 al 35,6% del 2007 (ovvero 12.028 giovani su 22.821), la Conferenza è oggi una realtà consolidata e capace di fare da apripista per i futuri mutamenti U n percorso lungo vent’anni. Dal 1988 al 2008. Vent’anni nei quali sono cambiate molte cose per la Conferenza nazionale enti per il servizio civile. Mutato il quadro legislativo, mutata la cultura collettiva, cambiati i riferimenti e anche la relazione con il potere pubblico. Cambiati infine i protagonisti: dagli obiettori di coscienza di un tempo ai giovani volontari in servizio civile.
Un salto lungo, quello affrontato in un convegno organizzato dalla Cnesc (creata nel 1986 da otto enti, oggi ne conta una ventina). I percorsi di cittadinanza e nonviolenza sono stati analizzati rispetto a un’epoca in cui ancora non era riconosciuta questa modalità alternativa di difendere il Paese. Quando appunto gli obiettori svolgevano in qualche modo un ruolo profetico (rievocato dai past president Cnesc, Diego Cipriani e Cristina Nespoli). Un ruolo oggi per molti aspetti non più attuale: fra i paradigmi individuati dal pedagogista Mario Pollo non vi è traccia di profezia. Ci sono i modelli filantropici, i compiti istituzionali, la responsabilità individuale, la crescita verso l’età adulta. Temi che Fausto Casini, presidente uscente della Cnesc (appena riconfermato nella medesima carica Anpas), Licio Palazzini, a capo della Consulta nazionale per il servizio civile, Giuseppina Ascione (rappresentante dei volontari in servizio civile) e il vicepresidente della Regione Liguria, Massimiliano Costa, hanno discusso in modo articolato. Perché è già tempo di bilanci e di riforme anche per la nuova presidenza Cnesc, alla quale è stato eletto Davide Drei .

I veri protagonisti
Una riflessione che parte dalla questione identitaria. Cosa deve essere il servizio civile? Un’esperienza individuale (e quindi calibrata sui tempi del soggetto che questa esperienza conduce) oppure un servizio che deve sostenere la realtà sociale (e che quindi va valutato in relazione ai risultati “oggettivi”). Un periodo di difesa alternativa? E se sì, in che misura e in che relazione con le altre esperienze analoghe (anzitutto con il militare, diventato nel frattempo volontario). E ancora: che identità deve avere il giovane (che non è un collaboratore a progetto né è un volontario in senso tradizionale)? Quale rapporto fra il centro e le realtà territoriali? «Nodi centrali anche nella riforma che auspichiamo», sottolinea il neopresidente, «il servizio civile non deve perdere la sua valenza nazionale, collegata alla difesa della patria, pur in un ripensamento dell’apporto regionale. In questo senso auspichiamo una revisione di alto profilo, al cui centro siano soprattutto i giovani, veri protagonisti del servizio».

I numeri
Una posizione destinata a pesare visto che, come sottolinea il Decimo Rapporto sul servizio civile in Italia realizzato dall’Irs – Istituto per la ricerca sociale, il ruolo degli enti Cnesc è andato via via crescendo. Nel periodo relativo ai bandi ordinari 2005, 2006 e 2007, mentre il numero complessivo di domande presentate dagli aspiranti volontari è passato dalle 96mila del 2005 alle 92mila degli anni successivi, gli enti Cnesc hanno aumentato la quota dei volontari passata dal 20,4% del 2005 al 35,6% del 2007 (ovvero 12.028 giovani su 22.821) per una percentuale di progetti che si attesta a poco meno del 30%.
Numeri significativi che presuppongono, come sottolinea la ricerca, un cospicuo investimento anche da parte degli enti Cnesc, i quali – non a caso – hanno recentemente lanciato la richiesta della stabilizzazione degli stanziamenti (attraverso un manifesto nel quale si sollecita l’esecutivo a ripensare i tagli, pesanti, contenuti nella Finanziaria) e della conseguente programmazione del servizio e della formazione relativa.


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