Economia

Democrazia economicabper vincere la crisi

cambiare modello Luigi Marino, presidente di Confcooperative

di Redazione

Nel nostro Paese siamo ancora al modello della grande impresa, controllata dai poteri forti. Ma è ora
di accorgersi che esistono altre forme di impresa, molto più partecipate.
E molto più sane.
Quando decideremo di puntare di più su di loro?
I l 2008 ci consegna il fallimento, o almeno la crisi, di un modello di sviluppo fondato sulla cultura competitiva e sulla finanziarizzazione dell’economia. Luigi Marino, presidente di Confcooperative, è alla guida di una parte di quel movimento cooperativo che proprio perché risponde ad altri codici e valori economici è per definizione anticiclico, «anche se il 2009 sarà duro pure per noi», precisa Marino. Con lui vogliamo capire se la crisi potrebbe anche significare l’affermarsi di un modello diverso nella chiave di un di più di democrazia economica.
Vita: Questa crisi può essere un’opportunità per il movimento cooperativo per riproporre i valori del suo dna, ovvero la centralità della persona e la dignità del suo lavoro, un lavoro che in forme diverse partecipa e controlla?
Luigi Marino: Spero che la crisi almeno porti con sé una riflessione seria sul modello di sviluppo economico e sulla necessità di un di più di democrazia economica. Se si vuole avere democrazia economica bisogna però uscire dal pensiero unico che ancora mi pare non stia tramontando. Bisogna prevedere imprese diverse per tipologia, diverse per radicamento, diverse per forma societaria, diverse per dimensioni e bisogna incoraggiarle senza fare figli e figliastri, accompagnarle. C’è democrazia economica laddove c’è un tessuto di grandi, medie e piccole imprese, di cooperative e di lavoro autonomo. Ma queste forme di impresa devono poi essere riconosciute, non dico sostenute, ma riconosciute dalla Stato, anche con legislazioni che ne garantiscano la presenza, la crescita.
Vita: Perché questo non accade?
Marino: Perché la cultura dominante è una cultura dell’impresa a taglia unica, impresa capitalistica, lucrativa, quotata, estremamente efficiente, estremamente globalizzata, estremamente competitiva. Nel nostro Paese siamo ancora alla divisione fordista tra industria e sindacato, sindacato che rappresenta i lavoratori, l’industria che rappresenta il potere forte. E non si capisce che in una società moderna vivono e si diffondono anche altre forme di impresa che sono molto più partecipate, non mi riferisco soltanto alla impresa cooperativa, penso al lavoro del non profit, ma anche alla piccola media impresa italiana, o quella artigianale, dove molto spesso il cosiddetto padrone condivide obiettivi e fatiche in stretta simbiosi con i propri dipendenti.
Vita: Per dare peso e realtà alle nostre riflessioni, ci ricordi cosa significa il sistema Confcooperative…
Marino: Significa tre milioni di soci veri, 500mila dipendenti di cui il 52% donne e il 18% immigrati.
Vita: Un’altra caratteristica della cooperazione è quella di riuscire a tenere insieme le dimensioni piccole con le grandi, le reti corte e di prossimità con le reti lunghe e globali…
Marino: Lo sviluppo cooperativo ha tanti modelli al suo interno. Il gruppo cooperativo Cgm è, per esempio, una rete che parte da una piccola cooperativa in un piccolo comune ed arriva ad essere una grande entità a livello nazionale attraverso forme consortili, dal provinciale al nazionale. Oppure ci sono le grandi coop di consumo che sono il risultato di decine e decine di fusioni di cooperative. Le forme sono diverse, ciò che credo sia importante rimanga in tutte le forme di sviluppo è la funzione mutualistica propria del movimento cooperativo. La cooperativa, anche grande, deve mantenere intatte le sue caratteristiche di mutualità, di partecipazione societaria, così come deve rimanere un’impresa dal forte radicamento territoriale.
Vita: Questi possono essere fattori competitivi nello scenario di crisi che stiamo vivendo?
Marino: Certamente sono caratteristiche estremamente competitive, perché la cooperativa lavora per i soci e i soci lavorano per la cooperativa. Non si lavora per la finanza o per il capitale, ma si lavora per dare reddito, per dare occupazione dignitosa, per remunerare i prodotti dei soci e i loro territori. Pensate all’esperienza delle Banche di credito cooperativo, qualcuno dovrà chiedersi perché sono le meno toccate dalla crisi finanziaria. La risposta è semplice: perché le banche cooperative non hanno l’obiettivo di raddoppiare i dividenti o gli utili. Lo scopo di una Bcc è quello di chiudere un buon bilancio, quello di dar soddisfazione ai soci dando loro credito con più facilità e con un costo più vantaggioso. In una parola, sono vicine ai territori e perciò all’economia reale.
Vita: Nel modello cooperativo che rapporto tra territorio e reti globali?
Marino: In Italia si produce quasi due volte più frutta di quella che consuma il mercato interno, e il triplo di vino di quello consumato dagli italiani. È un mercato in cui sono presenti le tante nostre grandi cooperative che fanno internazionalizzazione dei prodotti. Ma anche qui la cooperazione è una grande forza locale, e proprio per questo riesce a portare i suoi prodotti sui mercati esteri. La sua radice, il suo radicamento, la sua forza, è e deve rimanere locale.
Vita: La partita della democrazia economica non è però solo italiana, riguarda l’Europa e il mondo…
Marino: Certamente. Occorrono nuove regole e nuovi organismi globali che le facciano rispettare. Occorrono regolatori e autorità di controllo, perché se il mercato è lasciato libero diventa una giungla, un luogo nel quale dove solo il più forte riesce a sopravvivere a danno di tutti gli altri. Ora queste regole che noi abbiamo chiesto per il mercato interno, per la cooperazione, le chiediamo per la competizione globale, perché non ci può essere un mercato nazionale regolato e una globalizzazione sul mercato internazionale sregolato. L’Europa così com’è oggi non serve a nessuno. È una mortificazione della politica, è una mortificazione della democrazia, non è l’Europa dei popoli per la quale ci siamo anche entusiasmati e battuti, è un’Europa dei tecnocrati, è un’Europa mercatista e delle grandi imprese e lobby. È un’Europa senza democrazia né politica né economica. Ci batteremo per avere gli Stati Uniti d’Europa, per un’Europa politica, un’Europa dove chi ci governa sia eletto dai popoli, semmai restringendo un po’ gli ambiti legislativi e regolativi.


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