Sostenibilità

SOS, Il consumismobè diventato cannibale

l'era del biocapitalismo Vanni Codeluppi, sociologo apocalittico

di Benedetta Verrini

Neanche la crisi inverte il trend: il capitalismo del nuovo millennio punta all’occupazione soft delle menti e del corpo delle persone. Il risultato è che l’uomo di oggi è sopraffatto dai suoi desideri

S ono davvero tante le piccole cose che rendono felice un consumatore. Attività che occupano il tempo libero nell’illusione di essere indipendenti da un sistema: pesare da soli la frutta al supermercato; prenotare un biglietto aereo su internet; gestire il proprio conto online; autocontrollare il livello della glicemia o andare all’Ikea, comprare un mobile, trasportarlo e montarlo a casa propria. Il sistema, dietro a tutto questo, in effetti c’è. Ed è un cannibale. Si chiama biocapitalismo, ed è il più importante fenomeno di cambiamento in atto nelle società contemporanee: «Un processo di progressiva invasione dei corpi e delle menti da parte del sistema capitalistico», lo definisce Vanni Codeluppi, uno dei più brillanti sociologi italiani, impegnato da anni sul tema dei consumi e della modificazione della società in relazione al sistema economico. Ed è proprio attraverso il suo ultimo libro Il biocapitalismo. Verso lo sfruttamento integrale di corpi, cervelli ed emozioni (ed. Bollati Boringhieri) che Codeluppi traccia il capolinea di un sistema economico basato esclusivamente sul culto della crescita. E lancia un importante monito: «Se non si fissano limiti, il biocapitalismo usurerà le persone stesse, facendo implodere tutto».
Vita: Professore, ci parli del biocapitalismo.
Vanni Codeluppi: È la forma più avanzata del modello economico capitalistico e si caratterizza per il crescente intreccio con la vita degli esseri umani. Non si accontenta più delle ore di lavoro in cui viene prodotto un dato valore economico, ma agisce sul tempo libero e sulle componenti biologiche, mentali, relazionali e affettive degli individui.
Vita: In che modo?
Codeluppi: Le imprese si impossessano sempre più delle idee dei loro dipendenti, sfruttando il loro cervello e quindi godendo del loro tempo ben oltre l’orario di lavoro. E poi operano sulla sfera del consumo, in cui sono in grado di intervenire massicciamente sulle emozioni e sugli affetti, sui corpi e sulle menti degli individui e lo fanno utilizzando strumenti di comunicazione potenti come le marche, i media e il cinema. Il biocapitalismo, nel suo sforzo di espansione costante, sembra non avere limiti e invade ogni ambito. Nella società del biocapitalismo tutto, dall’economia alla banda larga per comunicare, dall’offerta dei prodotti ai luoghi stessi in cui si fanno acquisti, sembra crescere senza limiti. Jean Baudrillard l’aveva profetizzato, quando disse che nella nostra epoca non eravamo più nella crescita, ma nell’escrescenza.
Vita: Che conseguenze ha tutto questo sugli individui?
Codeluppi: L’effetto più evidente è che le persone tendono a comportarsi come non vi fossero limiti. Vogliono soddisfare ogni desiderio: di qui l’incremento spropositato dei consumi, che spesso fa oltrepassare le possibilità economiche delle famiglie attraverso i fenomeni dell’abuso del credito al consumo e degli acquisti a rate.
Vita: Non ritiene che, in questo senso, la grave crisi economica mondiale che stiamo vivendo costituisca il punto di arrivo del biocapitalismo?
Codeluppi: Non leggerei il fenomeno in questo modo. La crisi c’è, ma gli economisti ci insegnano che è ciclica, temporanea e strutturale rispetto al sistema capitalistico così come si è sviluppato dall’Ottocento ad oggi. Restare nell’ottica dell’attualità rischia di essere fuorviante, di far pensare che questi eccessi possano sparire, mentre in realtà continuano ad agire. Magari si rallentano, ma hanno una dinamica in corso da secoli e sono connaturati al funzionamento stesso del capitalismo, che non può fare a meno di invadere progressivamente la vita delle persone.
Vita: Possibile che non ci sia coscienza della pervasività di questo fenomeno nella nostra vita? Che non emerga una voglia di ribellione?
Codeluppi: Essendo un aspetto così diffuso nella società, così articolato e penetrato in tutti gli spazi della vita sociale, è difficile per noi avere un quadro complessivo. Per quanto riguarda eventuali forme di ribellione, personalmente cerco di evitare letture ideologiche. Alcuni anni fa la Scuola di Francoforte ha fatto un’analisi molto critica del capitalismo che ha avuto grande successo. Oggi ci sono le letture dei movimenti no global. Ma partono da una condanna del sistema economico e sociale e rischiano di portarci fuori dal seminato.
Vita: La sua critica, forse, non conduce alle stesse conseguenze?
Codeluppi: Io credo che il sistema non debba essere scardinato ma regolato. L’impresa “cattiva” che ci colonizza non esiste. Devono invece essere stabiliti limiti precisi, anche etici ed ecologici, entro i quali deve funzionare. Oggi queste regole esistono solo in minima parte, ed è anche una delle ragioni dei problemi che interessano tutti quanti. Di fatto poi, ciascun individuo, ogni giorno, nei suoi gesti quotidiani, compie una piccola ribellione.
Vita: In che modo?
Codeluppi: Facendo delle scelte. Può scegliere un prodotto piuttosto che un altro. Può scegliere un prodotto con un contenuto etico anziché uno che non ne ha, può utilizzare un certo prodotto in un modo differente da quello in cui l’azienda aveva previsto. Questi fenomeni di rielaborazione, che avvengono sia singolarmente che a livello di gruppi sociali e culturali, sono ormai la norma tra i comportamenti dei consumatori. Tutto questo è accaduto perché il target si è affinato, è diventato incredibilmente competente: ci sono acquirenti sempre più appassionati, veri e propri fan, che pongono limiti di funzionamento alle marche e fanno richieste precise. È successo alla Ducati, che si è risollevata da una crisi grazie anche alla dedizione e alla partecipazione progettuale degli appassionati, è successo nella creazione della nuova Fiat 500 e nell’industria culturale per le saghe di Star Trek o Harry Potter. Succede continuamente nel caso del lancio di nuove piattaforme informatiche o tecnologiche, dall’iPod alla Playstation.
Vita: In effetti sono esempi eclatanti. Fanno pensare che a volte il consumatore possa essere così competente da riuscire a cambiare, se non a cannibalizzare, il prodotto?
Codeluppi: Esattamente. È una dinamica circolare: le aziende non possono fare a meno del contributo dei consumatori e sono costrette a tener conto delle loro esigenze, allo stesso tempo questi vengono utilizzati e sfruttati, ma possono anche esprimersi e gratificarsi da questo meccanismo.
Vita: Allora non c’è nulla di male…
Codeluppi: Fino a un certo punto. Ciò che succede è che il sistema economico, nel suo complesso, sta sempre più consumando, usurando la vita delle persone. Il nostro è il secolo dello stress e dell’ansia, della percezione costante di una mancanza di tempo, dei fenomeni patologici di fuga dalla realtà attraverso l’uso di sostanze e psicofarmaci, delle patologie alimentari come anoressia e bulimia. Ciò dimostra che nonostante la nostra situazione sia di grande benessere, le persone vivono con insoddisfazione crescente. Ciò può rivelarsi un boomerang per il sistema stesso: avendo bisogno della vita delle persone, non può e non deve arrivare a logorarle. Ha bisogno della loro forza, della loro creatività, delle idee, della partecipazione. Altrimenti sparisce a sua volta.
Vita: Chi e come può stabilire un limite a questa dinamica autodistruttiva?
Codeluppi: È molto difficile dirlo. Il sistema economico ha sempre utilizzato la vita sociale, però oggi ha superato i limiti e la sta in qualche modo indebolendo. Questo è il problema. Bisognerebbe cominciare da una separazione precisa tra i due ambiti: l’economia svolge la sua funzione, il sistema socio-culturale la sua. Se uno dei due poli vampirizza l’altro, si compromette un equilibrio fondamentale per la sopravvivenza stessa della società. Oggi si parla tanto di etica ma ce n’è ben poca, anche perché la società non stabilisce regole precise. L’attuale crisi finanziaria è stata accentuata proprio dal fatto che non esistono organismi di regolazione a livello internazionale in grado di avere potere e far sì che le società umane si impongano sui meccanismi economici. E questo è un grave punto debole. Ma un limite che non potremo superare, a dire il vero, c’è.
Vita: Quale?
Codeluppi: La sopravvivenza della vita sul pianeta. Sappiamo che stiamo già consumando ben oltre le risorse disponibili sulla terra. Stiamo esaurendo le materie prime e gli elementi accumulati in migliaia d’anni a un ritmo superiore al 30% rispetto a ciò che il pianeta produce. Direi che il limite ecologico rappresenta davvero il capolinea. Continuando su questa strada, se il sistema economico continua a divorare le risorse biologiche e le materie prime come l’aria e l’acqua, la vita verrà meno e tutto sarà azzerato.
Vita: Un pronostico terribile. Lei crede in una via d’uscita o è totalmente pessimista?
Codeluppi: Sono una persona ottimista, ma descrivendo la situazione attuale mi pare proprio che non ci si renda conto dei rischi cui andiamo incontro. Personalmente, credo che una possibile via d’uscita sia l’abbandono della filosofia della crescita in economia. Condivido la prospettiva di Serge Latouche, secondo cui è necessario adottare un nuovo modello di riferimento, basato non più sulla crescita ma sulla decrescita o a-crescita.
Vita: Di che si tratta?
Codeluppi: Il principio assoluto della crescita, su cui si basa tutta la filosofia economica e anche il “sentire comune” relativo al benessere delle nazioni, ha delle conseguenze. Basta guardare i fenomeni sociali legati a questa regola: c’è un crollo in Borsa, tutto il sistema va in crisi. I cittadini sono depressi se non cresce il Pil della loro nazione: il nostro ragionamento si basa tutto sull’obbligatorietà della crescita. Ma noi non possiamo più permetterci questo lusso. Dobbiamo abbandonare questo modello e cercarne uno più equilibrato. C’è un movimento di pensiero intorno a Latouche che si sta diffondendo per arrestare questa corsa folle verso la crescita. Per ora si tratta di idee diffuse in piccola élite culturale, troppo poco per invertire il fenomeno in corso, ma io spero diventi presto una presa di coscienza collettiva, visto che la situazione è grave ed è necessario che tutti noi, davvero, cerchiamo di fare qualcosa per salvaguardare la nostra vita e quella delle nuove generazioni.


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