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La pace lontana
L'Etiopia si prepara a ritirare le sue truppe. Aprendo un'altra incognita pesante sul futuro del già martoriato paese. Che 2009 sarà?
Militari cercansi per la pace in Somalia. Suona più o meno così l’appello fatto di recente dall’Unione africana. Per il mese di gennaio l’Etiopia ha annunciato il ritiro dal territorio somalo delle proprie truppe, intervenute due anni fa in soccorso del debole governo di transizione e contro le corti islamiche, che avevano conquistato la quasi totalità del Paese. Alla fine del 2008 si è parlato di un possibile invio di caschi blu nel Paese del Corno d’Africa per un’operazione di peacekeeping, ma il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha frenato, dicendo che i tempi non sono maturi e che in Somalia, per ora, «non c’è nessuna pace da mantenere». Il segretario generale dell’Onu raccomanda piuttosto di rafforzare la missione di pace dell’Unione africana (Amisom) presente in Somalia, indicandola come l’unica «opzione realistica in questo momento» per favorire la stabilità nel Paese. In una lettera inviata al Consiglio di Sicurezza, Ban sollecita gli Stati membri a garantire all’Amisom sostegno finanziario e logistico, e alle forze di sicurezza somale addestramento, equipaggiamento e tutti i rinforzi utili, in modo da favorire il processo di pace avviato con l’accordo di Gibuti. Poco prima di natale, l’Unione africana (Ua) ha prorogato di due mesi il mandato Amisom in scadenza alla fine dell’anno, sollecitando l’invio di altre truppe da parte degli Stati membri.
Al momento sono 3.400 i militari dispiegati in Somalia, messi a disposizione da Uganda e Burundi, contro gli 8.000 autorizzati all’inizio del 2007. La Nigeria ha già annunciato l’invio di un battaglione. «Tre Paesi si sono già offerti per andare in Somalia», ha detto il ministro degli Esteri dello Zambia, Kabinga Pande, che presiedeva la riunione. «Uganda e Burundi con almeno un altro battaglione a testa, e la Nigeria ha confermato un battaglione». Il Commissario per la pace e la sicurezza dell’Unione africana, Ramtane Lamamra, ha sottolineato «la forte volontà della comunità internazionale di portare avanti la missione di pace Amisom», riferendo di aver ricevuto «rassicurazioni dall’Onu» su un sostegno logistico e sulla possibilità a lungo termine di trasformare l’Amisom in forza di mantenimento della pace Onu. Secondo Lamamra, Unione europea e Lega Araba hanno già promesso appoggi finanziari.
Nella sua missiva al Consiglio di sicurezza Onu, Ban Ki-moon indica in una Forza multinazionale, piuttosto che in una tipica missione di peacekeeping, dotata di piene capacità militari per garantire la cessazione delle ostilità, la risposta più appropriata alla sfida posta dalla Somalia. Tuttavia, nessun Stato membro si è offerto finora di guidare una missione di questo genere e le risposte ricevute da Ban da circa 50 Paesi e tre organizzazioni internazionali non sono state incoraggiati, ha ricordato il suo portavoce Michele Montas, in un comunicato Onu. «I suoi sforzi per mobilitare una robusta forza di stabilizzazione non si sono ancora materializzati», ha detto Montas, «in assenza di una forza di stabilizzazione, le opzioni presentate al Consiglio di Sicurezza prevedono un pacchetto di misure quali il rafforzamento di Amisom, un maggior addestramento del personale militare e di polizia somalo, e la creazione di una forza navale con una capacità di intervento rapida, che consentano al processo di pace di mettere radici».
Il governo di transizione somalo sostenuto dall’Onu e l’opposizione islamica moderata ‘Alleanza per la ri-liberazione della Somalia (Ars)’ hanno raggiunto un’intesa per la condivisione del potere, nell’ambito dell’accordo di pace firmato a Gibuti lo scorso agosto, che chiede il cessate il fuoco e il ritiro delle truppe etiopi dalla Somalia. Nel dettaglio, l’intesa prevede di raddoppiare gli attuali 275 membri del Parlamento, assegnando 200 seggi all’Ars e i restanti 75 a quanti «sono finora rimasti fuori dal processo di pace, come i membri della società civile, tra cui donne e la comunità imprenditoriale, e della diaspora». Il nuovo parlamento avrà quindi il compito di eleggere la nuova leadership del Paese e rimarrà in carica altri due anni rispetto alla scadenza del periodo di transizione, fissata al 2009 nella Carta costituzionale provvisoria.
In Somalia, senza un governo effettivo dal ’91, stanno acquisendo sempre più potere i gruppi islamisti radicali. A metà dicembre i miliziani islamici al Shabab hanno chiuso l’unica stazione radio attiva nella città somala di Chisimaio, 500 chilometri a sud di Mogadiscio. Una decina di miliziani hanno fatto irruzione negli uffici della stazione radio e hanno consegnato al direttore un provvedimento firmato da Hassan Yaqub Alil, responsabile per l’Informazione dell’amministrazione islamica della città, in cui si accusa l’emittente di trasmettere musica e informazione “anti-islamica”. L’organizzazione Committee to Protect Journalists ha quindi lanciato un appello ad Alil perchè «riveda la sua decisione e consenta all’unica stazione radio di Chisimaio, HornAfrik, di riprendere le trasmissioni», sottolineando come «il flusso libero di notizie sia nell’interesse del Paese». HornAfrik, una delle poche voci indipendenti in Somalia, aveva festeggiato il suo 12esimo anno di attività il giorno prima del raid. Uno dei fondatori della radio, Ali Sharmarke, è rimasto ucciso nel 2007. Il porto di Chisimaio dallo scorso agosto è sotto il controllo di una coalizione di forze fedeli al leader Hassan Turki e degli Shabab. Turki è accusato da Washington di terrorismo. E sempre a Chisimaio, lo scorso ottobre, le Corti islamiche hanno emesso ed eseguito una condanna a morte per lapidazione di una bambina di 13 anni, vittima di stupro.
«Si dice che la Somalia sia in mano ai clan, negli ultimi tempi mi sembra invece il contrario, e cioè che abbiano perso il controllo della situazione. Mentre sono nuovi gruppi fondamentalisti, non più costituiti necessariamente su base etnica, ad aver acquisito molto potere» ha detto a Vita uno dei più autorevoli osservatori di quanto accade nel Corno D’Africa, mons. Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio. Secondo le ultime notizie, potrebbero essere finite in mano agli Shebab, i giovani miliziani islamici somali, anche suor Caterina Giraudo e suor Maria Teresa Oliviero, le due suore italiane rapite in Kenya lo scorso novembre.
Sul prossimo numero di Vita-Non profit Magazine, in edicola dal 9 gennaio, l’intervista a monsignor Giorgio Bertin
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