Famiglia

Poca famiglia e molto asilo

Lo rivela il Report Unicef “Come cambia la cura dell’infanzia”. L’Italia soddisfa solo 4 dei 10 parametri per una cura ottimale

di Benedetta Verrini

Per i bambini dei paesi industrializzati i primissimi anni di vita trascorrono sempre più all’esterno della famiglia: circa l’80% dei piccoli dai 3 ai 6 anni del mondo ricco frequenta una struttura di servizi educativi e assistenza per la prima infanzia (e sotto i 3 anni la media si attesta intorno al 25%, fino ad arrivare al 50% nei singoli Paesi Ocse).
Lo rivela uno studio presentato oggi a livello mondiale dall’Unicef Centro di Ricerca Innocenti: l’Innocenti Report Card 8, “Come cambia la cura dell’infanzia”, che parla di una vera e propria “rivoluzione” nel modo in cui la maggioranza dei bambini viene cresciuta (negli ultimi dieci anni in molti paesi si è iniziato a registrare un forte aumento del numero di piccoli di età inferiore a 1 anno che viene assistito fuori casa).

Una rivoluzione a due facce
Il fenomeno presenta luci e ombre. Se da un lato, infatti, questi cambiamenti riflettono le nuove opportunità occupazionali (e la realizzazione di esigenze personali) per le donne, d’altra parte l’urgenza di rivolgersi a strutture educative esterne alla famiglia ha a che vedere con la sua condizione economica. Più povera è la famiglia, maggiore e pressante è la necessità di tornare a lavorare il più presto possibile dopo la nascita; spesso si tratta di posti di lavoro non qualificati e mal retribuiti.
Sono le famiglie in situazione di maggiore fragilità socio-economica, sottolinea il Report, a subire le maggiori pressioni per tornare al lavoro immediatamente e ad avere minori probabilità di avere le risorse necessarie a garantire ai propri figli un’assistenza di qualità.
Un “doppio svantaggio” che rischia di trasformare l’assistenza all’infanzia in una nuova e potente fonte di disuguaglianza.

I dieci parametri di qualità e l’Italia
Basandosi su valutazioni di esperti universitari e governativi, il Report Card 8 propone dieci parametri di riferimento per monitorare e paragonare i progressi nei servizi educativi e nella cura della prima infanzia nei paesi Ocse. E l’Italia non ne esce davvero bene.
“I diritti dei bambini non iniziano a 5 anni; eppure la fascia 0-5 anni è stata spesso trascurata – commenta il Presidente dell’Unicef Italia Vincenzo Spadafora – i  rendimenti sugli investimenti nell’educazione e nell’assistenza all’infanzia possono arrivare fino a 8 dollari per ogni dollaro investito. Secondo questo Rapporto, l’Italia soddisfa solo 4 parametri su 10”.

Il nostro paese infatti è allineato agli standard internazionali solo su 4 fronti:
– un Piano nazionale che dia priorità alle persone svantaggiate;
– servizi educativi per l’infanzia finanziati e  qualificati per l’80% dei bambini di 4 anni;  
– formazione dell’80% di tutto il personale di assistenza all’infanzia;
– 50% del personale dei servizi educativi per l’infanzia qualificati con istruzione di livello universitario e relative qualifiche.

Restano fuori altri parametri fondamentali quali, ad esempio, il diritto per i genitori a un congedo parentale di 1 anno al 50% di stipendio; uno standard minimo di assistenza per i bambini sotto i 3 anni e l’annosa questione dei finanziamenti pubblici (il minimo sarebbe l’1% del PIL speso nei servizi per la prima infanzia, l’Italia è intorno allo 0,5%, sotto la media OCSE, che è dello 0,7%). 

Vita ne ha parlato con Leonardo Menchini, dell’unità di ricerca socio-economica dell’UNICEF Centro di Ricerca Innocenti, supervisore della parte italiana del Report.

Perché il fenomeno dell’affidamento dei bambini a strutture educative esterne suscita preoccupazione?
Lo studio fotografa una situazione che ha lati positivi e negativi. E’ importante sottolineare, prima di tutto, che questo cambiamento epocale nell’educazione all’infanzia non è stato solo guidato dalla consapevolezza della validità del modello, ma anche dalle profonde trasformazioni nel mercato del lavoro. Oggi nei paesi industrializzati le donne sono chiamate a rientrare velocemente al lavoro dopo il parto, e in alcuni casi la pressione economica sul bilancio familiare guida la loro scelta.

Dal dossier emerge anche un certo allarme sulla validità delle strutture esterne nell’educazione dei piccoli sotto i tre anni.
E’ vero. Gli studi sulle neuroscienze infatti rivelano che un ambiente educativo esterno alla famiglia con una proposta di alta qualità è assolutamente positivo per i bambini tra i 3 e i 6 anni, al di sotto di questa fascia una cura esterna alle figure genitoriali, soprattutto se prolungata, può avere effetti negativi. Il rischio riguarda soprattutto le famiglie meno abbienti, che da un lato sono costrette al rientro al lavoro e dall’altro sono vincolate dal bilancio familiare alla scelta di un servizio non sempre ottimale o di elevata qualità.

Il nostro paese non sembra posizionarsi molto bene nella classifica degli standard di qualità: solo 4 soddisfatti su 10.
Possiamo dire che l’Italia si trova in una posizione intermedia, non riesce a riflettere gli standard dei paesi del nord Europa come Danimarca, Svezia e Islanda, e nemmeno quelli della Francia, ma non è nemmeno nelle ultime posizioni. Mostra delle buone performance nell’area della scuola materna…

…ma sull’offerta dei nidi sembra che ci sia un buco nero…
Questo è un problema legato all’estrema variabilità dell’offerta in quella fascia d’età. Il nostro paese mostra fortissime differenze regionali nella quantità e qualità dei servizi, esiste un ventaglio di proposte formale e informale, alcuni servizi sono in capo al pubblico ed altri al privato sociale. Oltre alla grande difficoltà di monitoraggio e comparazione, in quest’area c’è un problema di valutazione della qualità del servizio offerto, che mi pare determinante.

info: www.unicef.it

I 10 PARAMETRI COMPARATIVI:

1- Diritto ad un periodo minimo di congedo parentale retribuito (congedo parentale di 1 anno al 50% di stipendio): è un parametro soddisfatto da 6 paesi dei 25 OCSE.
L’Italia ha un indice di 32, al 10° posto e non soddisfa lo standard previsto; prima è la Norvegia con un indice di 116 e ultimi sono Stati Uniti e Australia con 0.  

2- Piano Nazionale che dia priorità ai bambini svantaggiati: 19 Paesi OCSE su 25 (tra cui l’Italia) soddisfano i parametri.

3-  Standard minimo di assistenza per i bambini sotto i 3 anni (servizi di assistenza all’infanzia finanziati e regolamentati per il 25% dei bambini sotto i 3 anni): l’Italia non si conforma allo standard minimo (del 25%) ed è agli ultimi posti. Per quanto concerne il tasso di occupazione delle donne con bambini sotto i 3 anni, l’Italia è sotto il 50% .  

4- Standard minimo di assistenza per i bambini di 4 anni (servizi educativi per l’infanzia finanziati e qualificati  per l’80% dei bambini di 4 anni):  l’Italia, come altri 14 dei 25 Paesi OCSE, soddisfa lo standard. 

5- Standard minimo di formazione per il personale (formazione dell’80% di tutto il personale di assistenza all’infanzia): solo 17 dei 25 Paesi OCSE – tra cui  l’Italia-  soddisfano lo standard. 

6- Percentuale minima di personale  (50%) dei servizi educativi per l’infanzia qialificata  con un diploma universitario e di formazione professionale: 20 Paesi OCSE (tra cui l’Italia) su 25 sono riusciti a conformarsi a questo standard.

7- Rapporto numerico minimo tra personale e bambini (di 1:15 nell’istruzione prescolare): soltanto 12 dei 25 Paesi OCSE soddisfano questo standard; l’Italia non soddisfa lo standard.
 
8- Standard minimo di finanziamento pubblico (1% del PIL speso nei servizi per la prima infanzia): l’Italia è intorno allo 0,5%, sotto la media OCSE (0,7%). Soltanto 6 dei 25 Paesi OCSE raggiungono o superano il minimo dell’1% del PIL.    

9-Livello basso di povertà infantile (inferiore al 10%): solo 10 Paesi soddisfano lo standard; tra questi non c’è l’Italia.  

10- Inclusione universale (copertura quasi universale ai servizi sanitari di base per l’infanzia): solo 8 paesi  su 25 soddisfano 2 dei 3 criteri;  l’Italia non soddisfa questo parametro poiché ha:
–  un tasso di mortalità infantile pari a  4,7 decessi su mille nati vivi (l’Islanda è al primo posto con il 2,3 su mille, il Messico all’ultimo con il 18,8 su mille), rispetto allo  standard del 4%;   
– il 6,7% di bambini nati sottopeso (peso inferiore a 2.500 grammi) alla nascita (al primo posto c’è l’Islanda, con il 3,9% ), rispetto allo standard del 6%;
– una copertura media della vaccinazione dei bambini dai 12 ai 23 mesi pari al 93,3%, rispetto allo standard  del 95%; in particolare: la copertura contro il morbillo è pari all’87%, contro la polio al 97%, contro difterite-tetano- pertosse al 96%.

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