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Allo Stato piaceblo sport per pochi

paradossi Presentato il rapporto del Comitato olimpico

di Redazione

Per i 4 milioni di tesserati del Coni, 450 milioni l’anno. Ai 12 milioni di praticanti dello sport di base, le briciole. J’accuse di Massimo Achini, presidente del Csi L e associazioni presenti sul territorio impegnate nella promozione dello sport per tutti, sono la vera spina dorsale del sistema sportivo italiano e la gran parte sa fare economia delle esigue risorse di cui dispone. È quanto emerge dal primo rapporto sullo sport presentato dal Coni.
Qualche numero. Al Nord opera il 55% delle associazioni sportive contro il 18,9% del Centro e il 24,7% attivo nel Mezzogiorno. Nelle 65mila associazioni censite sono impegnati 860mila volontari. A conti fatti, dunque, ogni 100 operatori, 85 lo sono a titolo completamente gratuito o con un rimborso spese.
«I dati del rapporto sullo sport», afferma Massimo Achini , presidente nazionale del Csi, «confermano il ruolo predominante sul territorio delle associazioni sportive rispetto alle federazioni del Coni. È un fenomeno sociale di vaste proporzioni, che il sistema sportivo ufficiale, quello del Comitato olimpico, tiene poco in considerazione, nonostante le associazioni sportive siano in grado di dare una risposta organizzata alla domanda di sport avanzata da milioni di cittadini». In altre parole: «Continuano a considerarci di serie B». E come spesso accade, la cartina al tornasole di questo cortocircuito sono le allocazioni delle risorse. Sottolinea Achini: «Oltre a una maggiore considerazione del nostro ruolo, occorrono anche più finanziamenti».
Il risultato è una disparità di trattamento, per certi versi clamorosa. Le federazioni del Coni con i loro 4 milioni di tesserati hanno infatti potuto attingere ai 450 milioni l’anno garantiti dalla Finanziaria nel triennio 2005/2008. Lo sport di base, che rappresenta 12 milioni di praticanti, continua invece a stringere la cinghia. Il 60% delle associazioni sportive, infatti, si colloca nella fascia di entrate fino a 25mila euro all’anno, mentre solo il 14% ha entrate tra 26mila e 50mila euro annui e il 10,8% tra 51mila e 100mila euro. Fondi privati raccolti dalle quote di iscrizione e da piccole sponsorizzazioni locali.
A tutto ciò si aggiunga che solo il 5,4% delle associazioni può contare su un impianto di proprietà. Malgrado questo, il rapporto del Coni certifica come iniziative a carattere sociale impegnino ben il 63% delle associazioni sportive.
L’associazionismo, oltre ad avanzare richieste si dovrà però misurare con sfide inedite. Una partita, insomma, che va giocata e vinta su due campi. Il terreno di conquista si chiama “sport fai da te”. Sono 2 milioni i cittadini che praticano sport in modo autonomo e con continuità, ai quali si aggiungono 5 milioni e 750mila che lo praticano in modo saltuario. Una maggioranza silenziosa che tra l’altro sfugge a ogni controllo sanitario: «L’associazionismo dovrebbe intercettare questo fenomeno e indirizzarlo verso un processo di sport educativo», conclude Achini. «Sotto questo aspetto siamo in ritardo. Occorre trovare forme più agili e meno tradizionali, in grado di leggere le necessità di chi fa sport al di fuori delle associazioni, ma per tagliare questo traguardo è necessario però aprirsi alle nuove discipline sportive emergenti». Nuovi bisogni e quindi nuove sfide. Ma la politica non si può chiamare fuori. Alla luce dei dati del Coni il nodo delle risorse e del riconoscimento politico è più attuale che mai. Una legge che riconosca il ruolo sociale dell’associazionismo sportivo e dia garanzie economiche è ormai imprescindibile.


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