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Natale thrilling

Iniziano i giorni fatali che possono coincidere con il 40/50% della rac colta fondi complessiva. Come si comporteranno i donatori alle prese con la crisi finanziaria?

di Maurizio Regosa

???Il capitale che davvero conta non ha una moneta: si chiama fiducia. È un bene spesso definito immateriale ma che lo è fino ad un certo punto: c’è un periodo dell’anno in cui si fa sonante e concreto, come sanno bene le non profit che con le donazioni finanziano i loro progetti. È il trimestre che culmina con il Natale. Novanta giorni “fatali” che possono coincidere con il 40-50% della raccolta fondi complessiva. Un periodo cruciale, quest’anno inaugurato dalla pesante crisi finanziaria. Le associazioni sono preoccupate di fronte ai crolli delle Borse (come tutti), ma in fondo ottimiste. Nessuno però sa rispondere alla domanda: che effetti avrà l’ottobre nero sul popolo dei generosi?
 
Quel che paga
Ci sono ragioni per non essere pessimisti. Il perché lo spiega con intelligente semplicità Gino Missiroli, vivace pensionato di 86 anni, da oltre 40 sostenitore di Airc: «Ho cominciato a dare un aiuto economico alla lotta contro il cancro nel 1967, quando morì mia madre proprio a causa di questa malattia. Non ho più smesso. Non è la sola organizzazione che mia moglie e io sosteniamo: le abbiamo scelte perché ci danno fiducia, lavorano concretamente». La trasparenza e i risultati contano: è questa la logica del “mercato” delle donazioni. Non altra. «È il vedere che le spese per l’organizzazione sono una minima parte», sintetizza Anna Caterina Alimenti, donatrice di lungo corso di Unicef, «a farmi decidere o a confermarmi nella decisione». Lei del resto è stata capace di “convertire” alla donazione i suoi amici: ogni volta che li invita a cena, chiede loro di mettere in un salvadanaio un euro. «Anche se non conoscono il progetto, si fidano di me e così danno il loro obolo. Un’amica mi ha detto che prenderà anche lei un salvadanaio per raccogliere fondi. A mia volta io ho “copiato” l’idea da un attore che è Goodwill ambassador: concede l’autografo in cambio di un euro per Unicef».

In arrivo i piccoli Babbo Natale
«Il settore delle donazioni non è in mano ai grandi donors: la percentuale più significativa proviene dalla popolazione normale, non ricca», spiega Cristina Delicato, responsabile Marketing di Telethon, «negli ultimi due anni si è registrata una diminuzione della donazione media, un sintomo del calo della capacità di spesa, al contempo però sono in aumento le persone generose».
Siamo un popolo di piccoli Babbo Natale, insomma, capaci di tirare un po’ la cinghia pur di non togliere il proprio sostegno. «Se la crisi dovesse farsi sentire, penso manterrei Unicef e magari ridurrei le altre donazioni. In ogni caso, non farei venir meno il mio aiuto, per quanto relativo», precisa Alimenti.
Un trend che al momento tutte le organizzazioni interpellate da Vita hanno confermato: «Siamo guardinghi, ma non abbiamo registrato una flessione delle donazioni rispetto allo scorso anno», commenta Giangi Milesi, presidente del Cesvi. «Forse», ribatte Rossano Bartoli, Lega del Filo d’oro, «una leggera diminuzione la stiamo notando, ma non ci sono motivi per temere un crollo degli atti di generosità». «Il periodo è delicato», premette Luigi Pasini dell’Unicef, ma registriamo anche segnali positivi: «Per la prima volta abbiamo organizzato una raccolta territoriale. Era il primo week end d’ottobre, a crisi già scoppiata, ed è andata bene: è stato venduto il 98% delle orchidee».

Le imprese sono in ritardo
Qualche segnale contrastante deriva dal mondo delle imprese. Che sembra incerto. Tentennante. In attesa. Da qualche anno infatti sempre più aziende fanno donazioni al posto dei regali natalizi: una scelta molto apprezzata. Lo sottolinea anche una recente indagine realizzata da Save the Children e dalla Doxa: otto italiani su dieci appoggiano questa scelta. Ciò nonostante da questo fronte si registrano i maggiori ritardi.
«Siamo decisamente sotto rispetto alla prenotazione dei biglietti natalizi da parte delle aziende», commenta Pasini, cui fa eco Daniela Fatarella di Save the Children: «In genere le grandi si muovono con molto anticipo, mentre nelle piccole il processo decisionale si svolge in queste settimane». «Sono pur sempre liberalità», sottolinea Niccolò Contucci di Airc, «non esistono contratti e tanto meno vincoli. Temiamo il ridimensionamento ma non lo stiamo subendo: per ora i regali di Natale delle piccole e medie imprese sono allineati al 2007. In questo momento il gruppo Unicredit sta facendo le donazioni che aveva promesso. Lo dico a suo onore, visto l’assalto che ha avuto».

Nuove strategie
Dunque, le notizie dal “fronte della raccolta” sono buone. E meno male: avere una contrazione in questa fase significherebbe molte risorse in meno. Ciò non toglie che il problema di innovare le strategie, adeguandole ai tempi di crisi, esiste. «Potrebbe essere l’occasione perché le associazioni adottino maggiore sobrietà», sostiene Maria Guidotti, presidente dell’Istituto italiano della donazione, «e lavorino soprattutto sulla trasparenza e la fidelizzazione: la percentuale dei donatori affezionati si aggira attorno al 30%. È possibile incrementarla?». È quanto si prefiggono le associazioni. «Puntare su una maggior fedeltà, facendo passare un messaggio chiaro: se qui c’è crisi, figuriamoci quanto è grave la situazione nei Paesi in via di crescita», aggiunge Fatarella secondo la quale «è proprio nelle difficoltà che le non profit diventano particolarmente creative». E mentre c’è chi raccomanda la raccolta in piazza (che «consente un confronto diretto con i volontari, ricorda Contucci, «ma costa parecchio anche in termini organizzativi»), in molti puntano sulla tecnologia: incrementare le donazioni on line «fino a oggi legate soprattutto alle emergenze» (Milesi), ricorrere a Internet («che non sarà nuovo, ma che può essere potenziato», spiega Bartoli) e trovare nuovi interlocutori: «A mio parere», spiega Delicato, «occorre raggiungere gli under 20: sono i giovani l’investimento per il futuro».

E i grandi donatori?
Anche su questo fronte s’intravedono novità interessanti. Oltre a Bulgari (che ha chiuso una partnership di un anno con Save the Children, vedi a fianco), altre imprese stanno orientandosi verso relazioni strutturali con il non profit. Relazioni che non sostituiscono la classica donazione, ma la completano. «Per infrastrutturare un sistema di partnership», spiega Roberto Biasotto della Merrill Lynch Italia, «servono percorsi che consentano ai grandi patrimoni di incontrare interlocutori di qualità e progetti validi. E su questa sfida intendiamo impegnarci, mettendo anche a punto strumenti originali».


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