Welfare

La leggenda dei rapitori di bambini

Un'indagine della fondazione Migrantes mette a nudo gli stereotipi mediatici legati al mondo dei rom

di Chiara Cantoni

Laddove è presente un infante, l’avvicinarsi di una persona rom è vissuto come fonte di pericolo: fra gli stereotipi legati al mondo nomade, quello secondo cui «gli zingari rubano i bambini» è senza dubbio il più potente e radicato. Leggenda nera o semplice realtà? Ha tentato di rispondere la Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana, commissionando al dipartimento di Psicologia e antropologia culturale dell’Università di Verona un’indagine sulla «Sottrazione di minori gagé». Lo studio, condotto dalla docente di Antropologia sociale, Sabrina Tosi Cambini, sotto il coordinamento del professor Leonardo Piasere, e pubblicato da Cisu col titolo La zingara rapitrice. Racconti, denunce, sentenze, rivela una sconcertante verità: in Italia nessun bambino è mai stato rapito dai Rom. I risultati della ricerca sono stati resi pubblici questa mattina nella sede di Radio Vaticana, alla presenza di don Federico Schiavon e monsignor Piergiorgio Saviola, rispettivamente direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale dei Rom e dei Sinti e direttore generale della Fondazione Migrantes.

Partendo dalla consultazione degli archivi Ansa e dalla stampa nazionale a quella dei fascicoli processuali, l’indagine analizza, attraverso il contatto con le forze dell’ordine, le procure e i tribunali, 40 casi di presunti rapimenti segnalati fra il 1986 e il 2007.  «Alla confusione che generano i media nel denunciare il fatto, dando come provato e “vero” il tentato rapimento, non interviene quasi mai la smentita, quando poi non segue l’arresto», dice Migrantes. «E, nei rari casi in cui se ne dà notizia, non è per assolvere i rom, ma perché l’esito processuale scioglie altri nodi ed eventi correlati: truffe, fatti drammatici, situazioni che suscitano ilarità».

L’analisi comparativa dei casi, ha portato all’individuazione di pochi ma costanti elementi cardine che, nei racconti dei tentati rapimenti, si ripetono come un frame, un canovaccio concettuale con minime varianti: «Nella grande maggioranza, ad esempio, si tratta di “donne contro donne”, ossia la madre gagé che accusa una donna rom; non ci sono testimoni del fatto, tranne i diretti interessati; gli eventi accadono spesso in luoghi affollati come mercati o vie commerciali; nessuno interviene in soccorso della madre; non di rado, la paura che vi sia uno “scopo oscuro nel rapimento” che porta la madre a identificare come complici della zingara alcune persone “sospette” presenti nelle vicinanze (ma i controlli lo smentiscono regolarmente)».

Infine, per quanto riguarda episodi di sparizione di bambini (11 casi analizzati), nella maggioranza molto noti all’opinione pubblica, sono stati ricostruiti i momenti in cui rom e sinti rientravano nella categoria dei sospetti e gli esiti degli accertamenti seguiti all’attività investigativa (sempre negativi). «La drammaticità delle vicende di queste sparizioni si rende ancora più acuta in quelle narrazioni di cui si conosce l’epilogo», ha spiegato Migrantes. «L’opposizione fra ciò che è accaduto realmente e l’immaginario stereotipico del rapimento rom emerge con forza squassante: questi bambini, infatti, sono stati vittime di violenze brutali da parte di pedofili, conoscenti, parenti». Violenze, quindi, tutte interne ai contesti d’origine. Da qui l’invito della Fondazione ad allargare lo sguardo, «A interrogarci e riflettere maggiormente su noi stessi. Sempre che questo “noi” così netto esista…».

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