Salute

roma: da dieci annibci ricordiamobdei malati dimenticati

cure palliative L'Hospice S. Cuore accoglie non solo oncologici

di Benedetta Verrini

« S iamo partiti dieci anni fa con tre posti letto sperimentali per i malati oncologici, quando esistevano solo tre hospice nel Nord Italia e il deserto al Centro-Sud. Da allora abbiamo preso in carico oltre 5mila malati e creato un modello di cura aperto anche ad altre malattie ad alto tasso di sofferenza». Italo Penco è direttore sanitario di una struttura che rappresenta senz’altro una case-history nel settore delle cure palliative: l’Hospice Sacro Cuore di Roma, una realtà del non profit, nata grazie al supporto della Fondazione Roma, operativa su tre difficilissimi fronti, quello della terminalità delle malattie oncologiche e non, la Sla, l’Alzheimer.
Un decennale richiede sempre bilanci. Certamente non facili, in un momento in cui la stessa Società italiana di cure palliative, dal proprio congresso, ha lanciato l’allarme sul problema dello stop ai Livelli essenziali di assistenza e alla difficoltà di assistere in modo omogeneo tutti i malati in Italia. In particolare, la Sicp ha ricordato i tantissimi «malati dimenticati», affetti da patologie non oncologiche che raramente entrano in programmi di cure palliative.
«Anche per questo per noi rappresenta un grande traguardo l’aver realizzato, a fianco dell’unità cure palliative in grado di seguire 120 malati al giorno tra ricoveri e assistenza domiciliare, anche le unità dedicate alla Sla e all’Alzheimer», spiega il dottor Penco. Attualmente la struttura riesce a prendere in carico 9 malati di Sclerosi laterale amiotrofica al giorno, 3 ricoverati e 6 a domicilio, e 70 malati di Alzheimer, tra assistenza domiciliare e centro diurno. Patologie diverse, tutte gravemente invalidanti, alle quali il 24 ottobre scorso è stato dedicato il convegno Curare ancora. L’etica della responsabilità verso le persone più fragili . Perché per i malati non oncologici è, ad esempio, «molto difficile definire criteri di terminalità», spiega Penco. «I malati di Sla hanno bisogni simili a chi si trova in fase terminale, hanno grandi sofferenze fisiche e psichiche che coinvolgono tutta la famiglia». L’unità dedicata si fa carico di questa sofferenza in senso globale, accompagnando le famiglie attraverso un cammino che a volte assomiglia a uno stillicidio, in un decorso che varia tra i tre e i dieci anni.
Differente il discorso per l’Alzheimer, «in cui solo nella fase terminale il fisico subisce lesioni, oltre alla compromissione della capacità di deglutire». Molto tempo prima, per i malati è possibile ricevere cure e assistenza che ritardano la perdita delle capacità cognitive, grazie al centro diurno dell’hospice. Ma chi può accedere a questa struttura che serve i malati in totale gratuità? «Lavoriamo solo sulla città di Roma e le segnalazioni arrivano dagli ospedali, dai medici di base, dal passaparola delle famiglie», prosegue il direttore sanitario. «Non potendo accogliere tutti, il criterio fondamentale è la solitudine del malato, oltre alla sua aspettativa di vita». L’Hospice Sacro Cuore è convenzionato dal 2005 con il Servizio sanitario nazionale, ma prima si è retto sulle sue sole forze grazie al contributo della Fondazione Roma, che ancora oggi si adopera per consentire che gli standard qualitativi di assistenza siano più alti di quelli richiesti dallo Stato.


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