Famiglia

lo straniero si fa il nido

infanzia Viaggio fra le esperienze nate all'interno delle comunità di immigrati

di Redazione

I primi sono stati i clandestini filippini negli anni 90. E oggi al loro Munting Tahan di Roma ci vanno perfino gli italiani. A Torino invece le educatrici portano il velo, mentre a Napoli e Milano srilankesi e cinesi hanno lanciato le loro tagesmutter S u un punto la parità fra italiani e stranieri è stata pienamente raggiunta. Quella dell’accesso, anzi dell’inaccessibilità, agli asili nido. In effetti a tutt’oggi solo al 13% dei bambini è garantita l’accoglienza nelle strutture (poco meno di 5mila) presenti sul nostro territorio. Che fare allora? Inventarsi il nido “fai da te”. Una pratica che sta prendendo sempre più piede nelle comuntà di immigrati e che in alcuni casi coinvolge persino bambini italiani.

I primi esperimenti
Il viaggio negli asili etnici d’Italia parte dalla capitale: il Piccolo mondo nasce in piena emergenza, da un gruppo di immigrati irregolari filippini che nell’89 aveva occupato l’Hotel Giotto al centro del quartiere Boccea. Nel 90, però, la gestione passa alla Caritas e oggi il Piccolo mondo accoglie 42 bambini di 25 nazionalità diverse. Il 20% è italiano. Si pagano da 0 a 80 euro al mese (in base al reddito) e l’orario va dalle 9 del mattino alle 5 di sera. E dal 2000 è convenzionato con il Comune di Roma. All’ombra del Colosseo c’è anche Il Munting Tahan («Piccola casa», in filippino). Nasce nel 96 e cresce all’interno della comunità filippina. Oggi ospita 45 bimbi di oltre 15 nazionalità diverse, ogni giorno dalle 8 alle 17. Tra essi, anche 5 italiani: al Munting Tahan «per scelta», sostiene l’energica direttrice Nely Tang . Tutto gira come in un orologio svizzero qui: tre gruppi di bambini (divisi per età) si alternano nel grande salone centrale che si usa per il gioco libero. Accanto alle otto insegnanti (tutte straniere, selezionate e formate dalla cooperativa Kinabukasan che gestisce l’asilo), una psicologa, un’infermiera e varie operatrici. Anche il Munting Tahan, come il Piccolo mondo, è convenzionato e i genitori pagano una retta di 150 euro al mese.
È un’esperienza tutta al femminile invece il nido Alma Terra di Torino. All’inizio era una specie di baby parking per le volontarie dell’associazione Casa delle donne (un movimento femminista composto da italiane e straniere). Poi si è aperto anche ai bambini delle utenti del centro (vittime della tratta, immigrate irregolari). Dal 2006 è un micro-nido convenzionato, «diviso in due strutture, una per la mattina, una per il pomeriggio», precisa l’educatrice Giuliana Frattarelli : otto bimbi in tutto (e 50 in lista d’attesa) di 6 nazionalità diverse. «Io parlo un po’ l’arabo, la mia collega è siriana e porta il velo. L’integrazione qui si vive, non si spiega».

Modello micronido
Da Roma a Napoli. Gli asili nido sono 20 per l’intera provincia. «Stiimme inguaiate», traduce la srilankese Citra Aloutuat , dello sportello Porta-Gioie per donne straniere in gravidanza. E così c’è chi sceglie soluzioni più informali. In particolare proprio gli srilankesi si sono inventati i nidi fatti in casa, che possono accogliere fino a 12 o 13 bambini per un centinaio di euro al mese. Ce ne sono cinque fra i Quartieri Spagnoli e il rione Stella. Stesso schema anche a latitudini molto lontane. Huijuan Hao fa la mediatrice culturale per il Centro Come di Milano. I nidi informali della comunità cinese li conosce bene lavorando come consulente nel consultorio famigliare della sua Asl. Il fenomeno ha altre dimensioni rispetto a Napoli: «Si tratta di esperienze molto micro: 2 o 3 bimbi per appartamento. Ma ce ne sono decine a Milano», racconta. «I genitori sono soddisfatti: non pagano molto e in certi casi possono lasciare i loro figli per 24 ore». Insomma, una sorta di rivisitazione del modello tagesmütter.


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