Economia

Così ci siamobmangiati il futuro

il crac La crisi finanziaria come crisi di sistema: parla Marco Revelli

di Redazione

«Tutto era già scritto nei numeri. L’economia di carta viveva sopra i propri limiti. Ma l’immagine che veniva data era l’opposto. Ora a pagare saranno
le economie reali. E le nostre vite quotidiane» M arco Revelli non è uno di quelli dell’«Io l’avevo detto». Eppure il crescere e l’esplodere della crisi del sistema finanziario mondiale lo ha seguito passo a passo. Segnandosi ogni data e ogni numero. Lui che non è in primo luogo un economista, per capire meglio quali effetti l’economia di carta avrebbe scatenato sul mondo reale, ha scelto di indagare il meccanismo da dentro. E ne ha ricavato quasi un diario di questi giorni neri. Il suo è un racconto senza sconti. Seguiamolo.
Etica&Finanza: Quali sono stati i primi sintomi di quel che sarebbe successo?
Marco Revelli: È una doccia di realtà che poteva essere prevista da chiunque e che paradossalmente non era stata prevista solo da chi muoveva questo meccanismo. Lo si percepiva persino a livello epidermico, nelle confidenze quotidiane. Era una sensazione condivisa quella che stavamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità, che i nostri stili di vita avevano subito un’accelerazione insostenibile sul piano delle disponibilità concrete delle risorse. Che ci stavamo mangiando il futuro. Secondo un ordine di grandezza che era tanto più grande quanto più si era al centro del sistema. Negli Stati Uniti era una dimensione assolutamente sproporzionata, in Europa a un livello minore ma comunque elevato. Il mondo, dal punto di vista del consumo, era già uscito dal controllo da parecchio tempo. Il problema è che invece le grandi narrazioni che avevano corso pubblico dicevano esattamente l’opposto.
E&F: Narrazioni che però nascondevano i numeri?
Revelli: I numeri e i dati c’erano tutti. Bastava leggerli. Che dagli anni 80 in poi l’economia di carta aveva incominciato a crescere ad un ritmo di molte grandezze superiore a quelle dell’economia reale te lo dicevano gli stessi analisti della McKinsley. I grandi teorici della globalizzazione avevano spiegato che la massa monetaria del circuito finanziario, quello che non si trasforma mai in beni reali perché rimane sempre sotto forma di simbolo, di segno, era di molte centinaia di migliaia di miliardi dollari. Se si fosse costruita una colonna fatta da biglietti di mille dollari uno sull’altro sarebbe stata alta 71 chilometri, l’equivalente della massa monetaria in circolazione permanente nel circuito monetario. Che questa fosse una follia, che questa bolla che galleggiava sopra le nostre teste sarebbe precipitata a terra facendo morti e feriti, era evidente a tutte le persone normali tranne a quelle che, nella normalità, costruivano la rappresentazione del sistema.
E&F: Oggi si spiega il black out con la deriva patologica di un modello fondamentalmente giusto…
Revelli: Io temo che si tratti invece proprio della fisiologia del sistema. E spiego subito il perché. L’unico modo in cui il sistema poteva continuare a sopravvivere e a funzionare scommettendo sempre oltre i propri limiti era quello di scommettere sulla propria espansione anche quando questa aveva evidentemente raggiunto il suo limite. Creando occasioni sempre maggiori di consumo e di spesa, quindi di indebitamento, anche oltre la disponibilità concreta di denaro. Il mondo in cui è cresciuta l’economia americana dagli anni 90 in poi si è basata sul consumo del futuro. Invece dal punto di vista delle disponibilità concrete, della produttività del sistema, della ricchezza reale prodotta e consumabile, della capacità di acquisto dei consumatori il limite era stato raggiunto.


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