Non profit
il governo non taglia.bma i giornali equivocano
5 per mille La stesura infelice del decreto salva-banche
Non è vero che il governo è pronto a tagliare i fondi del 5 per mille per coprire i buchi delle banche. Nell’equivoco, provocato da una sintassi infelice del decreto salva-banche, è caduta «Vita» ma anche molti altri autorevoli organi di informazione, come per esempio la trasmissione «Ballarò». In realtà, l’articolo 1 comma 7 del decreto dice esattamente il contrario, e cioè che si potranno decurtare diverse voci di bilancio per far fronte all’eccezionale stato di crisi, «ad esclusione» di alcuni capitoli di spesa, tra cui il 5 per mille. G rande clamore ha portato una lettura – frettolosa, come vedremo – del dl 155/08 nel quale si legge che, per salvare le banche minate da una «inadeguatezza patrimoniale accertata dalla Banca d’Italia» a seguito delle loro politiche allegre su subprime e compagnia bella, il ministero dell’Economia e delle finanze è autorizzato a sottoscrivere azioni o garantire aumenti di capitale.
Come si finanziano questi aumenti di capitale? Il governo ritiene che ci siano nelle pieghe del bilancio statale ampi margini di manovra e per questo parla di «riduzione lineare delle dotazioni finanziarie? delle missioni di spesa di ciascun ministero». Che la limatura sia effettuata con grana piccola o grossa, lo vedremo nel tempo, a noi interessa capire se ci sono “missioni di spesa” non attaccabili dalla falcidia prossima ventura.
Le eccezioni in effetti ci sono e sono diverse (in termini di natura e tipologia); in qualche modo il governo è obbligato a rispettare l’integrità di certe poste di bilancio.
Facciamo qualche esempio. Volete che il governo possa impunemente andare a modificare quei capitoli di spesa dipendenti da parametri stabiliti da accordi internazionali? No di certo, immaginatevi la figuraccia . Ritenete credibile che vada a intaccare i trasferimenti a Regioni, Province e Comuni aventi natura obbligatoria? Ma no, sarebbe un suicidio politico avere tutti gli enti locali contro. Bene, in questo elenco di eccezioni è stato inserito anche il 5 per mille, ma – udite udite – non è la prima volta.
Già quest’estate il dl 112/08 convertito con modifiche in l. 133/08, all’art. 60, parlando allegramente di riduzioni della spesa (chiamata eufemisticamente «stabilizzazione della finanza pubblica»), il legislatore ha escluso dalla decurtazione proprio il 5 per mille, i trasferimenti agli enti locali e altre tipologie (stipendi, pensioni ecc).
Il testo dell’art. 60, c. 1 del dl 112/08 è identico (quando elenca le esclusioni) al testo oggetto della confusione di questi giorni (art 1, c 7, dl 155/08). D’estate, sotto l’ombrellone, nessuno si è inerpicato sulla dura china dell’esegesi del testo. In autunno lo sdegno cade giù, proprio come le foglie.
Ma qual è il problema di fondo? Certo, si parte da una certa diffidenza sugli atti del governo, si temono secondi fini, mani nelle tasche del cittadino e del non profit; nulla sarebbe cambiato se la norma fosse stata scritta dal governo di centrosinistra, che ricorderete bene con quanto certosino sadismo ci ha fatto penare sul 5 per mille lo scorso anno.
Il problema di fondo è l’italiano! Ma quante subordinate mettono in una frase? Perché si rifanno all’ermetismo del primo Novecento? Chi si credono di essere, Ungaretti, Montale…?
Il testo criticato (ingiustamente nei suoi effetti) sarebbe da segnare con matita blu per come è stato redatto, per gli effetti confusivi nel lettore, attesa la sua palese e inutile complessità. Eppure dovrebbe esserci la Gelmini a vigilare su questi aspetti di grammatica, e Brunetta a bacchettare i fannulloni che si schermano dietro a una sintassi biasimabile e balbuziente, magari proprio per non farsi capire.
Quando il legislatore inizierà a parlare e a scrivere in italiano in modo che i cittadini (che – guarda caso – si chiamano “italiani”) capiscano, si potrà credere nel riavvicinamento delle parti, nella partecipazione, nell’esercizio dei diritti. Sempre che a qualcuno interessi ancora.
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