Welfare
Il non profit assumebpiù del profit
occupazione La fotografia dell'impresa sociale nel rapporto Excelsior
di Redazione
Il 60% del campione intervistato ha previsto nuovi ingressi nel corso del 2008 (contro il 28% dell’insieme delle imprese italiane). E oltre la metà ha realizzato, nel 2007, attività di formazione
I mmagino che questi siano giorni particolarmente intensi per coloro che, insieme al ministro Sacconi, stanno raccogliendo integrazioni, suggerimenti e critiche al Libro verde «La vita buona nella società attiva», in vista della stesura del Libro bianco che conterrà le linee guida per la riforma del sistema di welfare del nostro Paese.
Fra la gran mole di documenti che giungeranno al ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali spero non mancherà il rapporto di Unioncamere, l’ente di rappresentanza delle Camere di commercio italiane, dedicato ai fabbisogni professionali e formativi delle imprese sociali per il 2008. Si tratta di una pubblicazione, giunta alla seconda edizione, del sistema informativo Excelsior che misura le tendenze dell’occupazione e dell’attività formativa nelle imprese iscritte nei registri delle imprese camerali.
Sono almeno due i motivi di interesse del documento che potranno convincere gli estensori del Libro verde ad assegnare maggiore rilevanza alle imprese sociali (visto che in questa prima stesura non se ne fa cenno).
Il primo, e più importante, è la disponibilità di una gran mole di dati su quantità e qualità dell’occupazione e della formazione nelle imprese sociali, mentre il secondo riguarda le modalità attraverso cui si è giunti a determinare “l’universo” di queste imprese.
Rispetto al primo punto il rapporto contiene informazioni sui trend occupazionali e formativi, ma soprattutto fornisce, grazie a procedure di stima, statistiche aggiornate nel tempo e comparabili rispetto all’intero comparto imprenditoriale. Ne risulta un quadro evolutivo che, seppur basato su pochi parametri, è comunque ricco di spunti interpretativi, peraltro in linea con quanto già messo in luce da altre indagini.
Trend positivo
Per quanto riguarda i fabbisogni professionali si confermano alcuni importanti tratti del modello occupazionale delle imprese sociali. Si tratta, in primo luogo, di organizzazioni labour intensive e questa tendenza è strettamente correlata alle dimensioni aziendali. Il 60% delle imprese sociali ha previsto, infatti, di effettuare nel corso del 2008 nuove assunzioni (contro il 28% dell’insieme delle imprese italiane) e il movimento occupazionale (cioè il saldo tra lavoratori in entrata e in uscita) è positivo e pari all’1,9% ovvero quasi il doppio di quanto previsto dall’intero settore privato.
L’effetto di questa dinamica porta l’occupazione nelle 10.500 imprese sociali iscritte nei registri camerali a sfiorare le 300mila unità, che significa il 2,6% dell’occupazione nazionale e il 5% del settore dei servizi. Da notare che i due terzi dell’occupazione si concentrano comunque nelle imprese sociali con almeno 50 dipendenti, ma queste ultime sono meno del 10% del totale.
Si tratta di un indicatore, seppur parziale, della presenza di differenti modelli di sviluppo dove la dimensione aziendale assegna un peso significativamente diverso alla leva occupazionale e, probabilmente, chiama in causa altri fattori comunque non individuabili nel rapporto.
Capitale umano cercasi
Sempre rispetto all’occupazione si nota la presenza di un fenomeno di crescente frizione fra due tendenze opposte. Da un lato, infatti, emerge che le imprese sociali sono organizzazioni piuttosto selettive rispetto alla loro manodopera: chiedono, più di altre imprese, lavoratori con esperienza nel settore e con titoli di studio elevati. Ma, d’altro canto, segnalano in modo molto consistente difficoltà a reperire un capitale umano che risponda alle loro aspettative. Forse questa è una delle ragioni per cui, sempre più spesso e sempre più intensamente rispetto ad altre imprese, si rivolgono a manodopera straniera.
Le difficoltà incontrate nel mercato del lavoro consentono anche di affrontare il tema della formazione da cui risulta, come si sostiene nel rapporto, che si tratta di un settore di “imprese formative”, in quanto la metà delle imprese sociali ha realizzato nel corso del 2007 attività di formazione continua per i propri dipendenti, contro il 22% di tutte le imprese italiane.
Persona e organizzazione
È questo, forse, un ulteriore indizio della presenza di quel “mix di incentivi” di natura extraeconomica attraverso il quale le imprese sociali attraggono e remunerano, in senso lato, lavoratori interessati certamente al salario ma che assegnano un peso rilevante anche a fattori motivazionali come la possibilità di accrescere, on the job, le proprie competenze. C’è comunque da chiedersi fino a quando potrà reggere questo peculiare rapporto fra persona e organizzazione da cui dipende, in via esclusiva, la funzionalità dei processi gestionali e la qualità dei prodotti.
I dati Excelsior, infatti, informano che le imprese sociali offrono in massima parte contratti di assunzione caratterizzati però da significativi elementi di flessibilizzazione. Se la diffusione mediamente più consistente del tempo parziale può ancora essere interpretata come un elemento positivo rispetto alle esigenze di autonomia e organizzazione dei tempi di vita di una parte della manodopera (ad esempio quella femminile), in altri casi, come ad esempio l’utilizzo più diffuso di contratti a termine, si può prefigurare un indebolimento di quella “catena della soddisfazione” che lega i lavoratori all’impresa sociale.
Non solo coop
Infine, come preannunciato, una breve nota metodologica sulla banca dati camerale. Si tratta infatti di uno dei primi tentativi, ancora incompleto, di quantificare il fenomeno dell’impresa sociale superando l’orizzonte della cooperazione sociale – il modello fin qui più diffuso e conosciuto – e considerando altre figure giuridiche di origine non profit (fondazioni, enti morali, ecc.). Il tutto nello spirito della legge di riforma sull’impresa sociale promossa dalla stessa maggioranza e dallo stesso ministero che oggi si appresta a dettare le linee per il futuro del welfare.
Non resta che augurarsi che questo rapporto, insieme ad altri documenti, consenta di ridare la giusta visibilità ad una forma di impresa in grado di fornire un importante contributo di crescita e innovazione, anche (ma non solo) attraverso la creazione di occupazione.
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