Formazione

Le multinazionali dello sport insegnano quanto me. Ma cosa?

di Redazione

D a qualche anno, a differenza di altri colleghi, non effettuo test di ingresso agli studenti iscritti al primo anno delle superiori per capire qual è il loro livello motorio dal quale partire per il programma didattico. Da tempo ho rinunciato al test di Cooper, e non valuto più la forza dei muscoli delle gambe e neppure delle braccia con il lancio della palla medica.
A nulla serve, secondo me, valutare il salto in alto da fermo, e non servono neppure i test che accertano la capacità di eseguire i movimenti coordinati. Io ho rinunciato a tutto questo.
Il mercato, complici genitori distratti, ha preso il sopravvento e loro, gli studenti, si presentano a scuola nuovi di zecca. Le scarpe da ginnastica, che non sono più di tela come quelle di una volta, hanno gli ammortizzatori all’altezza del tallone con abbondanti strati di gel, pronti ad attenuare qualsiasi micromovimento della pianta del piede. L’ultimo modello 2008 presenta un sottile strato di carta di riso tra la tomaia e il plantare. Un ragazzo dal faccino pulito, destinato a essere il primo della classe (almeno nell’abbigliamento), mi assicura che le sue scarpe sono state testate nel laboratorio di bioingegneria del Politecnico di Milano, prima di essere messe in vendita. Altri dicono che i loro modelli sono quelli usati dai campioni che si sono contesi la finale dei 100 metri alle Olimpiadi di Pechino.
Alcune ragazze indossano tute aerodinamiche firmate, «sottoposte a test nella galleria del vento» dell’istituto di Medicina dello sport, mentre è quasi impossibile vedere qualcuno che indossa t-shirt bianche senza il logo di questa o quella multinazionale dell’abbigliamento sportivo. È una vera e propria corsa al capo firmato, dai calzini ai polsini, dai pantaloncini per la pallavolo ai top, fino alle canottiere per giocare a pallacanestro. Altri, quelli che controllano il mercato, prima e meglio di me hanno provveduto a sottoporli ai test.


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