Welfare

Così l’amministrazione penitenziaria si accorse delle donne

di Redazione

Finalmente un regolamento per donne
Le donne in carcere non possono essere trattate come gli uomini: se ne è accorta l’amministrazione penitenziaria, che ha messo a punto un regolamento per l’esecuzione della pena che tiene conto delle specificità delle detenute, attualmente 2.584. Le donne in carcere hanno una sensibilità diversa, e anche una sofferenza particolare per il distacco dai figli, come racconta Veronica su Ragazze fuori , giornale dell’Istituto a custodia attenuata di Empoli: «Dopo tanto tempo l’ho rivisto. Che bello vederlo. Che bello vedere quelle mani che ti toccano sui capelli e quella voce che ti dice “mamma, quando vieni a casa?”. E io che ho dovuto fare…? Dire un’altra bugia. Dire che sono in un ospedale. Va be’, quel giorno è stato bellissimo. Abbiamo disegnato le nostre mani. Una sopra all’altra. Lui mi ha disegnato e ha detto “questa sei te” e dopo si è disegnato lui e ha detto “questo sono io” e io mi sono messa a piangere perché vedevo che nel disegno eravamo insieme, ma poi pensavo che lui se ne doveva andare».

Ma il carcere è l’unica pena?
Una lettera aperta al ministro della Giustizia: a inviarla è stato il Consiglio nazionale del Coordinamento degli assistenti sociali della giustizia, con una domanda che sembra elementare: «Perché le soluzioni a portata di mano, molto più economiche ed efficaci, nessuno le vede?». Gli assistenti sociali, quelli che si occupano dei detenuti, chiedono che non si parli di sicurezza astrattamente, ma si valuti con attenzione che cosa può rendere le nostre città più sicure: «Ci riferiamo ai percorsi di sicurezza sociale in rete con i servizi territoriali e con il mondo del volontariato, costruiti grazie alla professionalità degli operatori penitenziari che lavorano nell’area penale esterna. Vogliamo informarla che i dati relativi all’area penale esterna e all’utilizzo delle misure alternative negli ultimi trent’anni sono stati estremamente significativi: si è passati da 3mila soggetti in misura alternativa nel 1976 agli oltre 30mila del 2006. L’area penale esterna ha contribuito a restituire alla società tanti soggetti, che avevano commesso reati, più responsabili e rispettosi della legalità. Perché allora ci si ostina a considerare la carcerazione l’unica pena possibile, quando è accertato che non funziona?».

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