Mondo

Clima, cosa ne sarà di Kyoto?

L'accordo europeo sul clima rimandato a fine anno. Per l'Italia costa troppo

di Franco Bomprezzi

Il vertice europeo sul clima oggi è uno degli argomenti principali sui quotidiani. Il summit di fatto si è chiuso con un rinvio. Il pacchetto clima, il cosiddetto 20-20-20, sarà approvato a dicembre dopo una analisi dei costi che dovranno sostenere gli Stati e le aziende.

A proposito di crisi  e del vertice sul clima, il Sole ospita in prima un intervento di Sergio Marchionne – di fatto una sintesi di quello che ha detto al direttivo di Confindustria di mercoledì – dal titolo: «Questa crisi non la paghino imprese e lavoratori». Dice Marchionne, con toni molto duri: siamo di fronte a una bolla, ma gli effetti li vedremo anche sull’economia real. «Quello che deve essere chiaro a tutti, governi in testa, è che il conto non può essere pagato dalle imprese né dai lavoratori» Quindi occorre una detassazione di salari e stipendi. Ma non solo: Marchionne è contro anche le nuove regole europee sulle emissioni, e spara a zero: «Le misure… se verranno confermate richiederanno uno sforzo enorme ai costruttori di auto europei… qualcosa come 45 miliardi di euro l’anno… Un impegno insostenibile di per sé… Che andrà a colpire in maniera pesante e ingiusta» il comparto auto. Più chiaro di così! E poi passa alla cassa: all’industria dell’auto la Ue dovrebbe riconoscere 40 miliardi. Capito?

Sul clima e la posizione dell’Italia la Stampa dedica il taglio basso del suo Primo Piano a pag 2-3 e dedicato alla crisi. Titolo: “Clima, l’Italia guadagna due mesi sul tema dei costi”. Sommario: “Obiettivo: un compromesso che accontenti tutti”. Un infografico illustra i punti del piano europeo “20-20-20”. Taglio del 20% delle emissioni di CO2 entro il 2020; aumentare del 20% l’uso di energie rinnovabili; aumentare del 20% l’utilizzo di biocarburanti nel settore trasporti. Di questo si discute.
Il pezzo illustra come per azione dell’Italia l’UE si sia data due mesi in più di tempo prima di approvare il piano per approfondire i costi del taglio di emissioni di CO2 del 20% . Il compromesso fa felice la delegazione italiana  ma non esalta il presidente francese Sarkozy e il presidente della Commissione Barroso. L’appuntamento è ora per dicembre. Tutte le associazioni ambientaliste protestano “Una perdita di tempo”.
A pagina 5 un’ articolessa di Augusto Minzolini da Bruxelles spiega con molte informazioni come il governo italiano, in particolare Berlusconi, stia giocando una partita europea. Titolo del pezzo “Berlusconi, la partita politica me la gioco in Europa”  e sul clima Minzolini raccoglie questa dichiarazione del premier: “Se l’Europa deve essere la portabandiera di una politica di riduzione delle emissioni di CO2 i costi devono essere suddivisi tra tutti i cittadini europei in egual misura. Non è ammissibile che un Paese manifatturiero come il nostro si addossi costi più alti rispetto ad altri”.

“Europa, l’Italia blocca la lotta contro i gas serra”: così Repubblica nel taglio centrale della prima. Tutto rinviato a dicembre: sarebbe questo il compromesso individuato ieri. «I leader europei hanno confermato il calendario e gli obiettivi delle misure, accogliendo però le obiezioni dell’Italia e dei paesi dell’Europa dell’Est», scrive Antonio Cianciullo. Il problema sono ovviamente i costi, che Berlusconi stima attorno a 18 miliardi di euro l’anno per le nostre imprese. Troppo alti… Dunque il compromesso.
In appoggio intervista al Stephan Singer, coordinatore WWF: “Il WWF: «Così il governo italiano mette in discussione Kyoto»”: Italia unico paese europeo a mettere in discussione Kyoto, sui cui costi «è vero il contrario: ignorare la minaccia climatica vuol dire assumere rischi enormi e perdere formidabili possibilità di sviluppo»…
Accanto colloquio con il ministro dell’ambiente: “Prestigiacomo: «La Ue da sola non può risolvere il problema»”. «Il punto centrale è come si divide all’interno dei paesi europei il peso economico per raggiungere l’obiettivo. L’Italia risulta penalizzata anche nei settori, come quello delle automobili, in cui fornisce prodotti che comportano un minor impatto ambientale». Illuminante l’ultimo botta e risposta: «L’ambiente ha pari opportunità rispetto all’industria?», chiede il giornalista; «No, perché esistono strutture, uffici che sono abituati a farsi la guerra e questo è un problema che va al di là dei ministri che oggi si muovono in sintonia», risponde la titolare dell’Ambiente….
Si capisce perché Andrea Bonanni titoli in suo commento “Ma per l’Europa la strada è in salita”: l’Ue che vorrebbe avere un ruolo di leadership nella questione ambientale (domani Sarkozy e Barroso da Bush, per tentare di ottenere il suo consenso per un vertice mondiale sull’ambiente, da tenersi a novembre), perde punti e credibilità (e questo avrà i suoi effetti anche sui tentativi di tenere sotto controllo l’economia). «L’industria europea più avanzata ha acquistato un vantaggio enorme rispetto al resto del mondo per quanto riguarda la capacità di produrre in modo più pulito e consumando meno energia… Poiché la nuova rivoluzione industriale è comunque una strada obbligata, perdere la leadership che  si è conquistata sarebbe un suicidio economico».

Il vertice europeo sul clima invece non trova ospitalità sulla prima del Corriere. Il servizio di Luigi Offeddu è a pag 20. Riassume il titolo: «Clima, i 27 della Ue confermano il piano: “Ma valuteremo i costi”». In sostanza sono stati evitati i veti della vigilia, ma la decisione è stata rimandata a dicembre. Il pacchetto clima (entro il 2020 ripulire i cieli da un 20% di Co2, aumentare del 20% l’efficienza energetica e arrivare a un 20%di energia tratta da fonti rinnovabili) vengono confermati, come volevano i paesi scandinavi. Dall’altro lato però viene accolta la richiesta dell’Italia e dei paesi dell’est di una valutazione di impatto che le industrie italiane dovranno sostenere, soprattutto quelle automobilistiche. Per dirla con Berlusconi: «nessun interesse potrà essere trascurato».

Il Giornale non ha dubbi: «Clima, vince l’Italia E la Ue ammette: piano da rivedere». In una conversazione con l’inviato Caprettini, Berlusconi non entra nel dettaglio di questo risultato ottenuto (rinvio a fine anno del varo del documento che impone ai singoli stati membri di ridurre le emissioni di Co2), ma scopre qualche carta sulla sua visione sull’Europa. Ad esempio in tema di immigrazione dice: «Sull’immigrazione finalmente siamo riusciti e concretizzare quanto ci eravamo proposti da anni: fare del tema un oggetto di normativa comunitaria.. Non più uno Stato contro un altro stato di provenienza o di passaggio. Sarà Bruxelles a decidere come ci si deve  comportare».

Al clima il manifesto dedica una pagina (la 7) con un richiamo dedicato alla ministra Prestigiacomo: “La ministra dell’ambiente inquinato”, nell’articolo (di spalla a quello principale sul vertice europeo) si ricorda come la responsabile del dicastero all’ambiente sia anche “azionista di aziende inquinanti. È in conflitto di interessi e non ne fa mistero: sostiene il no alla riduzione delle emissioni di Co2”.

Sul clima occupa tutta la pagina 6: Avvenire tratta il rinvio a dicembre e la disponibilità a una maggiore flessibilità nelle modalità per il raggiungimento degli obiettivi una mossa di buon senso e di realpolitik. «La crisi domina sul clima: tutto rinviato a dicembre» titola in fondo. I 27 hanno messo in soffitta le buone intenzioni e cercato un compromesso sul clima – dice Giorgio Ferrari nell’articolo. Mentre gli scandinavi si strappano i capelli, “spalleggiati da un delegato norvegese che offre invano ai governi della Ue un viaggio al circolo polare artico per mostrare gli effetti del diastro climatico e il tragico spettacolo dei ghiacciai che si sciolgono”. In realtà gli obiettivi e il calendario sull’attuazione delpacchetto clima ed energia rimangono, ma si rinvia un eventuale accordo a dicembre, tenendo conto delle situazioni specifiche dei singoli Paesi e si voterà all’unanimità.

Gli altri temi di oggi:

Classi separate

Manifesto– La copertina anche oggi è dedicata alla scuola, foto di universitari in manifestazione alla Sapienza con il titolo “il belpaese”, Notti bianche anti-Gelmini, universitari e professori in lotta contro i tagli alla ricerca, cortei, stazioni occupate, lezioni in piazza. Da nord a sud un’altra Italia riprende fiato e voce. Nasce il primo movimento di massa contro il governo Berlusconi. Oggi lo sciopero generale proclamato dai sindacati di base accoglierà tutto questo portando nelle strade di Roma una protesta che annuncia l’avvio del mese più caldo dalle elezioni di aprile, questa la sintesi in prima degli articoli dalle pagina 2 alla 5. A pagina 3 si racconta dei 10mila studenti che sfilano alla Sapienza di Roma e qui Eleonora Martini che firma l’articolo riporta l’opinione di Francesco Raparelli, dottorando in Filosofia e “capofila della protesta” «La novità di questo movimento sta nel fatto che la maggior parte di questi giovani sono poco politicizzati, molto pragmatici e affatto ideologici», l’articolista osserva: “Lo si vede: più avezzi ai cori da stadio che agli slogan politici, più ai messaggini su facebook che ai giornali di opinione, facce da salutisti, frasi tipo «non vogliamo farci strumentalizzare da nessuno»”. Nella stessa pagina che due interviste sul tema fondazioni e Università. Con Patrizio Bianchi (rettore dell’università di Ferrara) che dice «Il problema delle fondazioni è un falso problema. La vera questione è che cosa il Paese e il governo vogliono dal sistema universitario», mentre Walter Tocci, direttore del Csr parlando di rapporto perverso che si sta instaurando tra pubblico e privato osserva che «Da un lato si parla di fondazioni, cioè di soggetti di diritto privato e dall’altro si rilancia il centralismo statale». Le altre due pagine sono dedicate ancora a sciopero di base, alla cronaca della notte bianca e alle classi ghetto per immigrati.

Corriere-  Sulla questione classi separate Mario Porqueddu intervista l’ex ministro Tullio De Mauro: «La Lega non ha individuato un problema reale, pensare che le classi dove si mescolano gli alunni che partono da livelli di conoscenza diversi sia un problema è una sciocchezza solenne. Le ricerche condotte nel mondo dicono che più le classi sono eterogenee e migliori sono i risultati degli alunni.  Di tutti; dei più bravi e dei peggiori». Sul caso il Corriere riporta anche la dissonanza fra la testata di An “Il Secolo” che titola «Scordatevi l’apartheid» e Fini che invece apre alla Lega: mozione condivisibile. 

Una social card contro la crisi
Repubblica– Due pezzi. Roberto Petrini (in terza pagina) “E spunta il piano B dell’Italia cinque miliardi per le famiglie”: in realtà «nessuno studio operativo, soltanto la convinzione che, prima o poi, qualcosa bisognerà fare»… Avendo già approvato la manovra triennale sui conti pubblici e potendo lavorar di deficit, spunterebbero i 4-5 miliardi del titolo. Per ora però l’unica misura sul piatto è la social card.
Il secondo e di Giovanni Pons, “L’asse Geronzi – Berlusconi stringe d’assedio Profumo”: ricostruzione interessante e controcorrente. La Libia avrebbe acquistato titoli Unicredit per fare un favore a Berlusconi e ai suoi amici imprenditori, che non amano Profumo (che da questa iniziativa uscirebbe ridimensionato).

Italia Oggi– E’ tutto pronto per  l’avvio della social card ( la carta prepagata per aiutare i più deboli) da dicembre. A beneficiarne sono 1,3 milioni di persone.
Il primo decreto che riguarda i redditi sotto i 6 mila euro di pensionati con almeno 65 anni e famiglie con figlio sotto i 3 anni a carico è già stato registrato dalla Corte de conti.
Tremonti ha messo sul piatto 170 milioni, in procinto di aumentare con un nuovo decreto che dispone anche la destinazione al Fondo per la social card di 479 milioni.
La card sarà disponibili  da dicembre ma sarà retroattiva per i due mesi precedenti. Le carte, che sono simili al bancomat, potranno essere ritirate presso le Poste da Dicembre.
Saranno ricaricate ogni due mesi e utilizzate per pagare bollette e avere sconti sui generi alimentari.

Lo scandalo 8 per mille
Corriere– «“Quota bontà” l’ultima beffa», è il titolo del fondo a firma Gian Antonio Stella che, forse ispirato da Vita magazine, porta sulle pagine del primo quotidiano italiano lo “scandalo” dell’8 per mille. «Degli 89 milioni di euro originari (la legge prevede che siano destinati a “interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione dei beni culturali”), togli qua, togli là, ne sono rimasti 3,542.043. Fatti i conti le 808 associazioni di volontariato, enti e organismi vari le cui richieste erano state accettate avrebbero avuto 4.803 euro a testa. Coriandoli. Spazzati via da una scelta drastica: meglio con centrare i finanziamenti su 6 comuni e una provincia colpiti da calamità naturali». «Così com’è», conclude Stella, «L’8 per mille allo Stato è meglio abolirlo». Infine il capitolo cooperazione internazionale. L’Italia è il paese più tirchio dell’Occidente con una quota dello 0,09. La più striminzita dal 1987. Un dato su tutti: coi soldi tagliati secondo il Cini si potevano comprare 100 milioni di zanzariere contro la malaria in Africa.
Nord Kivu
Sole– a pag. 16 un pezzo sugli sfollati del nord Kivu: sarebbero 100mila, ad accoglierli i medici di Msf, e infatti nell’articolo si cita la capoprogetto Claudia Lodesani. Succede che si sono riaperte le ostilità tra Congo e Ruanda nella regione del nord Kivu, dove tra l’altro sono rifugiati anche alcune milizie hutu reduci dal genocidio del 1994 e i guerriglieri del generale Nkunda, tutsi. E proprio questi avrebbero aperto le ostilità, appoggiati – secondo il Congo – dal Ruanda. Nessuno ne parla, ma l’emergenza è scoppiata da qualche settimana, rompendo la tregua firmata in gennaio.

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