Cultura

Cinecittàbabpiazza Vittorio

di Redazione

U no scontro di civiltà, a leggerlo nell’ironia lucida di uno scrittore, fa sorridere. Se la prendono per delle sciocchezze, vien da pensare prima di passare ad altro. Nella vita, sulla strada come nel posto di lavoro, è diverso: il conflitto si presenta come “ineludibile”, i dissapori si fanno immediatamente radicali; quanto alla civiltà, si smarrisce tra i fumi di paure indistinte e, più spesso di quel che si crede, immotivate.
Amara Lakhous proprio a uno
Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio ha dedicato il suo primo romanzo (uscito nel 2006 presso la e/o e dal quale ora l’esordiente Isotta Toso sta girando un film: «Non ho partecipato alla sceneggiatura né al progetto. Purtroppo», precisa). Ma questo topos lo scrittore algerino (che però ha scritto nella lingua di Carlo Emilio Gadda), l’aveva usato in modo leggero, come una lieve provocazione, architettando, nei pressi di quella via Merulana in cui Gadda aveva ambientato il suo
Pasticciaccio , un noir ricco di molteplici punti di vista e di sfumature culturali che si stemperavano in un variegato disagio dell’esistenza. Raccontato però con toni né apocalittici né integrati. Che sono poi i toni con i quali, in questa intervista, Amara affronta il rapporto fra Belpaese e comunità musulmana schierandosi con
Famiglia cristiana (più «una guerra tra poveri» che uno scontro), tra immigrazione e identità religiosa (è necessario, afferma, «italianizzare l’Islam» e insieme avere il coraggio di espellere chi «usa la moschea per incitare alla violenza»).
Il nostro colloquio inizia però dall’attualità, da quel film nella cui lavorazione non è stato coinvolto. Le sarebbe piaciuto? «Nel cinema ci sono due scuole di pensiero. Per la prima l’autore è un elemento di disturbo; la seconda cerca il confronto e la collaborazione. La produzione evidentemente ha scelto la prima opzione. I diritti sono stati venduti nell’estate 2006».

Vita: Volevo sapere come era stata risolta la molteplicità dei linguaggi…
Amara Lakhous: Mi hanno fatto leggere l’adattamento, che naturalmente è diverso dal libro. Hanno “sacrificato” alcuni personaggi e ne hanno aggiunti altri. Così la storia prende altre strade.

Vita: Non sembra molto contento…
Lakhous: Anche gli autori che partecipano alla lavorazione vivono lo strazio. C’è una bella frase di Sciascia: «Se volete massacrare il mio libro, fatelo senza di me». Alla fine, forse, è meglio così.

Vita: “Strazio” è una parola forte…
Lakhous: Sono molto fortunato. Non ci sono dubbi. Ho tanti amici le cui opere sono state opzionate senza poi che il progetto cinematografico fosse realizzato. L’opzione dura due o tre anni. Questo può essere negativo perché chiude la porta a qualche regista interessato. Nel mio caso, dopo due anni iniziano le riprese. L’aspetto positivo del non aver partecipato è che non ho alcuna responsabilità. La gente vedrà il film e tirerà le sue conclusioni.

Vita: È un rilancio della sua opera…
Lakhous: È andata bene: in poco più di due anni siamo alla decima ristampa. Circa 35mila copie vendute. In Italia sono numeri importanti. È stato tradotto in francese, presto uscirà in Algeria. Poi uscirà a New York, quindi a Toronto…

Vita: Nel frattempo ha discusso la tesi di dottorato su «Vivere l’Islam in condizione di minoranza. Il caso italiano». Che evoluzione vede su questo fronte?
Lakhous: Dall’attentato del settembre 2001, per quanto riguarda l’Islam si è verificata una svolta. Nel bene: si comincia a parlare dei musulmani; nel male: non c’erano esperti veri per interpretare e capire questa realtà; l’accademia è rimasta fuori dai mass media e a parlare di Islam sono stati i giornalisti tuttologi. Nel dibattito pubblico italiano l’Islam viene presentato come un problema prettamente di ordine pubblico – la moschea va controllata, l’imam incita alla violenza, il velo come non rispetto delle regole. Per i musulmani che ho avuto modo di incontrare – e per la tesi sono stati molti; ho realizzato interviste approfondite anche in carcere – è invece una questione di identità, di appartenenza. La conclusione della mia tesi è una proposta per evitare uno scontro di civiltà inutile: italianizzare l’Islam.

Vita: Cioè?
Lakhous: Fino ad oggi in Italia l’Islam è stato vissuto come un corpo estraneo. Non è mai preso in considerazione il terreno comune: la cultura araba è stata per più di due secoli cultura ufficiale in Sicilia e non solo. Occorre reintegrare l’Islam nel panorama culturale italiano. D’altra parte è vero che molti immigrati musulmani arrivano qui e cercano di importare l’Islam del loro Paese d’origine, per di più in una versione superata negli stessi Paesi d’origine, dove magari sono in corso tentativi di adattare l’Islam alla modernità. Questi aspetti recuperati dagli immigrati spesso non sono funzionali né nei Paesi d’origine né in Italia.

Vita: Succedeva agli italiani a New York: enfatizzavano molto la loro identità…
Lakhous: È un dato generale che riguarda l’immigrazione. Nell’Islam c’è una differenza: l’Islam nella sua storia è sempre stato una cultura, nel senso che quando arrivava da qualche parte entrava sempre in contatto con la realtà locale. Ci sono state delle sintesi: basta vedere com’è l’Islam in Africa o in Asia. Oggi si tratta di adattare l’Islam al contesto italiano e non viceversa. Per questo dico che serve italianizzare l’Islam. Si parla anche di Islam europeo, ma non mi convince: c’è una grande differenza tra Francia, Olanda e Italia. L’immigrato musulmano in Italia deve fare i conti con il mondo cattolico, in Francia con la laicità, che laggiù è una religione.

Vita: Nel romanzo si racconta uno “scontro di civiltà”…
Lakhous: C’è un aspetto molto attuale del mio libro: la guerra fra poveri. Il personaggio della portiera napoletana che se la prende con gli immigrati e non con il governo, con un sistema sociale che non funziona… Sento spesso donne italiane che non trovando posto nell’asilo nido per i loro figli, se la prendono con gli immigrati che ne fanno tanti. Questo è il grande pericolo: la guerra fra poveri italiani e immigrati. I politici non capiscono. Basta guardare a quello che è successo alle ultime elezioni e dopo, a proposito di sicurezza. Sono molto d’accordo con
Famiglia cristiana per quello che, coraggiosamente, ha detto a proposito dei soldatini per strada, dei messaggi d’insicurezza. La vera emergenza è quella delle morti bianche, di chi non arriva alla fine del mese, non riesce a pagare il mutuo per la casa. Penso soprattutto ai giovani: oggi in Italia senza la famiglia non vanno da nessuna parte…

Vita: In carcere la percentuale degli immigrati è altissima…
Lakhous: Gli immigrati detenuti non hanno possibilità di usufruire delle misure alternative. Entrando in carcere, anche chi l’aveva perde il permesso di soggiorno. In Italia la giustizia non funziona e molti delinquenti immigrati sfruttano ciò. Ero contrario all’indulto: sono rimasto colpito dalla motivazione, cioè che le carceri erano piene. Diverso sarebbe stato se il ministro della Giustizia fosse andato in Parlamento dicendo: in carcere tanti detenuti si sono laureati, tanti altri hanno imparato un mestiere, questi altri invece hanno iniziato un’attività. Così avrebbe avuto senso. Ma fare l’indulto solo perché le prigioni sono piene… Se uno esce e non trova alternative, è una questione di tempo: tornerà dentro. Inoltre sono per la certezza della pena: se sei condannato a trent’anni, è assurdo che tu esca dopo dieci.

Vita: Il punto però è capire se sono trattati diversamente dagli italiani.
Lakhous: In questi ultimi anni stiamo assistendo a una grande confusione fra immigrati, clandestini e delinquenti. Alla fine sono equiparati. In Italia la maggioranza degli immigrati regolari sono stati clandestini. Qui ci sono state tre sanatorie: l’ultima ha regolarizzato 700mila persone. Ovviamente non tutti i clandestini sono criminali, ma ho notato che, dopo il primo Consiglio dei ministri, a Napoli, i giornali hanno titolato: «Immigrazione e rifiuti». Un accostamento indicativo. In Italia si tende a pensare agli immigrati come a dei rifiuti. Se vogliamo forzare la metafora, potremmo dire che i Cpt sono le discariche. Anche se non risolvono il problema, voglio fare più discariche, allo stesso modo vogliono costruire più Cpt. Ma la ricetta per i rifiuti è la raccolta differenziata… Oggi la Bossi-Fini colpisce gli immigrati regolari, tende a renderli irregolari.

Vita: Secondo lei che è un intellettuale, un immigrato di lusso, stiamo andando verso lo scontro di civiltà oppure no?
Lakhous: Il mio titolo più che profetico era ironico. Lo scontro non è di cultura o di civiltà. È politico. Per il petrolio. Per impossessarsi delle risorse del mondo. Non prendiamoci in giro. Lo scontro di civiltà è solo una copertura, una maschera per nascondere il vero motivo. Quanto poi all'”immigrato di lusso” vorrei precisare.

Vita: Prego.
Lakhous: Sono arrivato alla fine del 1995 e sono stato rifugiato per anni; a Roma andavo a mangiare alla mensa Caritas. Non ho fatto la vita del figlio dell’ambasciatore. La mia è stata un’immigrazione molto dura. E poi ricordo che gli immigrati che arrivano qui non sono dei poveracci: spesso hanno un’istruzione e dei progetti imprenditoriali.

Vita: In che senso?
Lakhous: Un immigrato investe nel progetto migratorio. Un bengalese spende per arrivare in Italia mediamente 15mila euro. Anche nella storia italiana l’immigrazione è stata un investimento: se oggi il Nord-Est è quello che è, lo deve ai migranti degli anni 60.

Vita: Cosa pensa delle polemiche per la costruzione delle moschee?
Lakhous: I comitati di quartiere non vogliono le moschee perché il valore immobiliare delle case scende. Dimenticano che la Costituzione italiana garantisce il diritto di culto. Le persone purtroppo fanno propaganda: invece di affrontare il vero problema, cioè il valore degli appartamenti, dicono che nelle moschee si predica la violenza. Oppure che non c’è reciprocità. Un’osservazione scandalosa che va contro gli insegnamenti di Cristo.

Vita: Si è parlato di referendum…
Lakhous: La democrazia si misura con la sua capacità di rispettare le minoranze. Se nel mio quartiere arriva un gruppo di gay e si fa un referendum, sono sicuro che la maggioranza degli abitanti dirà di no. Perché le minoranze disturbano le maggioranze, che vogliono mantenere il loro controllo. Se si farà un referendum, nessuna moschea sarà costruita. Penso che si potrebbe fare il sermone in italiano e che si devono espellere le persone che usano la moschea per incitare alla violenza. Anche a Milano: coloro che gestiscono viale Jenner hanno responsabilità pesantissime. Negli anni 90, da lì partivano finanziamenti per gli attentati in Algeria, in Egitto… Hanno responsabilità morali, se non penali. Li si dovrebbe allontanare.

Vita: Sta lavorando a un romanzo?
Lakhous: Sì, dovrebbe uscire nella prossima primavera. È un romanzo che racconta l’Italia di oggi attraverso l’immigrazione, che si rivela strumento straordinario per raccontare la società: la presenza dell’altro ci aiuta a guardarci. Ci sarà della commedia all’italiana, una chiave narrativa straordinaria, un côté noir… L’immigrazione criminale, quella sì che si integra facilmente nella criminalità italiana…

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