Nel giro di cinque anni la locomotiva della Sicilia è sprofondata in un mare di debiti. Quelli accertati sono pari a 357 milioni di euro. Un tritacarne di inefficienze e incapacità che ha messo al tappeto il sistema di welfare locale. E l’arrivo dei 140 milioni promessi da Roma tappano un buco, ma non chiudono la partita
Umberto Scapagnini. Nome e cognome sono sempre gli stessi: Umberto Scapagnini. Otto anni da sindaco del medico di fiducia di Silvio Berlusconi hanno lasciato una cicatrice indelebile persino in un circuito, quello della Compagnia delle Opere, che tuttora esprime diversi esponenti di spicco nelle fila del Popolo della libertà. Ma basta entrare nella sede di via Basile per capire che quaggiù tira un’altra aria rispetto a quella dei palazzi romani e milanesi. «Una totale indifferenza ai bisogni della città accoppiata a un’incompetenza generale, questo è stato Scapagnini», si lascia scappare la direttrice, Tiziana Cirnigliaro . «Il risultato», aggiunge, «è che oggi i nostri 300 associati, il 40% dei quali si occupa di commercio, paga quotidianamente a caro prezzo il fatto che la gente per mancanza di illuminazione o a causa della sempre più scarna polizia municipale, la sera non esce più di casa».
Catania è triste. Chi la vive lo sa: da anni i concerti e le manifestazioni culturali sono ridotti al lumicino. I cantieri non vengono chiusi. E perfino Villa Bellini, uno dei giardini pubblici più belli d’Europa, è da mesi off limits causa restauri. Il motivo è sempre lo stesso: non ci sono i soldi. Poi Catania è anche sempre più sporca. Raccogliere i rifiuti costa. E in questi mesi spesso non ci sono stati fondi nemmeno per gli spazzini.
Profondo rosso
Il buco di bilancio ha spezzato la schiena all’Elefantino catanese. I numeri pesano come macigni. Un buco accertato di 357 milioni di euro (ma c’è chi parla di 700 milioni) sul quale il procuratore capo Vincenzo D’Agata sta conducendo «un’inchiesta lunga e complessa». «E io spero», aggiunge il magistrato, «che non ci siano connessioni tra la criminalità organizzata, che purtroppo affligge la città, e le disfunzioni amministrative, che sono state causa del dissesto finanziario». Staremo a vedere.
Il regalo del Cipe (140 milioni di euro) intanto è un’iniezione d’ossigeno. Vitale, ma quanto durerà? Eh sì, perché la gestione allegra targata Scapagnini ha dato solo il colpo di grazia. È il sistema Catania che è andato in tilt. Per comprendere i perversi meccanismi del cortocircuito occorre mettere sotto la lente d’ingrandimento il welfare cittadino. È questa la chiave di lettura più efficace. Per almeno due ragioni. La prima è che le cifre sulle politiche sociali sono relativamente certe, «anche se», interviene Luciano Ventura , direttore di Confcooperative Catania (a cui aderiscono circa l’80% delle coop del territorio), «in alcuni casi il meccanismo dei ricoveri di emergenza nella case di riposo non è stato tenuto sotto controllo». Catania poi quest’anno guarda dal basso verso l’alto tutte le altre province italiane nella graduatoria della vivibilità stilata dal quotidiano il Sole 24ore . La richiesta di interventi sociali è sempre più alta (il capoluogo etneo è di gran lunga la città siciliana con più persone assistite dal Banco Alimentare: quasi 90mila nel 2005).
Il piano Stancanelli
Il piano di rientro messo a punto dal neosindaco, in quota Alleanza nazionale, Raffaele Stancanelli prevede che i ritardi nei pagamenti degli operatori sociali (che vanno dai 5 ai 10 mesi) siano ripianati in tre tranche entro fine anno, grazie a uno stanziamento di poco meno di 15 milioni di euro, compreso nella quota Cipe.
«Sì», conferma Orazio Micalizzi del consorzio Il Nodo (25 cooperative sociali con un fatturato aggregato di 6 milioni di euro, sigla aderente a Cgm), «anche noi abbiamo ricevuto assicurazioni in questo senso, ma non è stato facile per me e per i miei operatori tirare avanti per cinque mesi senza prendere lo stipendio».
Il Nodo per conto del Comune gestisce sei comunità per minori e alcuni centri per richiedenti asilo e donne in difficoltà. Una realtà importante, che però dovrebbe essere sostenuta da fondi comunitari e nazionali che solo transitoriamente passano attraverso le maglie comunali. E qui sta il primo paradosso. In molti casi infatti queste risorse si sono inspiegabilmente incagliate. Uno stallo che, fra l’altro, non ha nulla a che vedere con il buco di bilancio.
Tabula rasa
Ma c’è dell’altro. Nella seconda città siciliana gli anziani che avrebbero diritto all’assistenza domiciliare sono 700. Ma solo 450 di loro usufruiscono di questo diritto. Anche se, secondo paradosso, un giorno di ricovero in ospedale costa alle casse pubbliche 400 euro, a fronte di 65 euro per l’assistenza extraclinica.
Poi c’è il caso delle comunità alloggio. La percentuale di copertura dei posti è del 60/70%. Eppure le liste di attesa ci sono e sono decisamente lunghe. Mancano le risorse. «Ma anche in questo caso, i debiti pregressi del Comune c’entrano poco: è la gestione ordinaria che non funziona», nota Ventura.
Insomma, i 15 milioni in arrivo da Roma permetteranno sì a tante famiglie di passare qualche settimana di serenità, ma non salveranno certo l’Elefantino dal naufragio. Ancora Ventura: «La prassi da noi è che il bilancio previsionale sia votato in ritardo, in marzo o addirittura in aprile, e che garantisca una copertura finanziaria solo fino a settembre. In pratica, ogni anno le spese di almeno tre mesi sono fuori bilancio». E un mese di spesa sociale a Catania a conti fatti vale 2,5 milioni di euro. E qui scatta l’effetto domino. «Le banche ormai non si fidano più del Comune e così da un po’ di tempo a questa parte non ci concedono più i prestiti garantiti dai crediti che vantiamo nei confronti dell’amministrazione comunale», denuncia Micalizzi. Ma non solo.
Rincara Dino Barbarossa , presidente del consorzio il Solco: «In queste condizioni rischiamo di non riuscire a trattenere gli operatori, molti di loro si sono già messi in malattia. Il rischio, serissimo, è di compromettere inesorabilmente la qualità dei servizi». Una china inevitabile. «Non è detto», conclude Ventura, «ma occorre rivoluzionare da cima a fondo gli equilibri di un welfare cittadino che non ha più alcuna sostenibilità: oggi il bilancio del Municipio in via ordinaria è in grado di sopportare solo il 45% dei costi del Comune».
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