Welfare

Se impera la logica del “fine pena mai”

di Redazione

Dire che l’ergastolo è disumano
Da Livorno ci scrive
Alfredo , un ergastolano, e con le sue parole ci invita ad avere più coraggio, e a tornare a lottare per l’abolizione dell’ergastolo: «Noi aspettiamo che alla fine qualcuno si accorga di noi, non solo per le cose negative che hanno segnato il nostro passato, il presente e inevitabilmente il futuro, ma anche notando la nostra maniera d’essere oggi. Per quanto tempo ancora dobbiamo aspettare perché questo avvenga? 20, 30, 40 anni di carcere, o l’ergastolo, possono forse porre rimedio a ciò che è stato? Non possiamo fare niente per cambiare il nostro passato. Possiamo invece migliorare il nostro futuro. Ma è proprio questo che c’è negato: la speranza di avere un futuro! Dobbiamo combattere per la vita!».
Speranza non fa rima con carcere
Si crede che uscire dal carcere con una misura alternativa sia cosa elementare, invece è un percorso irto di ostacoli, come spiega
Loredana , detenuta con poche speranze di poter usufruire di quest’opportunità: «Bisogna possedere dei requisiti indescrivibili, come l’esistenza all’esterno di una attività lavorativa o comunque idonea al reinserimento sociale, una famiglia o almeno una struttura di accoglienza, e poi servono le relazioni da parte delle forze dell’ordine e le osservazioni scientifiche della personalità a cura dell’équipe che lavora presso l’istituto di pena. In questo carcere, come in altri, non esiste quasi nulla di tutto questo; qui la semilibertà o il lavoro all’esterno sono un miraggio. Che speranza possiamo avere?»
Da Vicenza un esempio per tutti
«Carcere di Vicenza. Inaugurato un reparto per la lucidatura dei metalli. Progetto di Assindustria con la cooperativa Saldo & Mecc»: sembra una notizia abbastanza normale, anche se non è. Si tratta, infatti, di un progetto in cui è coinvolta l’Associazione industriali, le cooperative sociali, e imprenditori profit perché, come ha dichiarato un loro rappresentante, Stefano Talin , «È importante che le aziende abbiano una maggiore sensibilità nei confronti di questi temi. Abbiamo ritenuto doveroso impegnarci su un progetto che, fatta salva la necessità di salvaguardare il principio della certezza della pena, offra ai detenuti la possibilità di occupare il tempo lavorando, acquisendo così una professionalità spendibile nel futuro».

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