Non profit
In Cina il petroliobfalcidia i campi
Il governo ha dovuto rallentare le politiche di sussidi bal costo dell'energia. Per agricoltori e pescatori bla situazione rischia di farsi drammatica
di Redazione
S tati Uniti, Argentina, Russia, Venezuela: sono solo alcuni dei Paesi che nel corso della loro storia hanno sperimentato il fallimento delle politiche di calmieramento dei prezzi. Nei prossimi mesi potrebbero aggiungersi alla lunga lista i Paesi del Sud-Est asiatico, data la recente corsa sfrenata delle quotazioni del petrolio, che renderebbero inadeguati i sussidi con cui questi Paesi raffreddano da anni il prezzo del greggio alle popolazioni locali.
Prendiamo il caso della Cina: tra 2006 e 2008 ha aumentato il prezzo interno del carburante appena del 10%, mentre è più che raddoppiato sul mercato. Per mettere una pezza alle perdite dei raffinatori di Stato, il governo ha deciso lo scorso luglio un incremento improvviso del prezzo dei carburanti (+17% per la benzina, +18% per quello del diesel), scegliendo quindi di non adeguare i sussidi erogati (che attualmente veleggiano sui 25 miliardi di dollari all’anno) alla crescita dei prezzi del greggio.
Gli aumenti a doppia cifra di benzina e diesel (i cui prezzi restano comunque del 30% al di sotto del costo del greggio importato) si sono dimostrati impossibili da sostenere in primis per la classe rurale cinese, dove il reddito medio per famiglia è pari a 315 yuan (46 dollari o 31 euro) al mese, un terzo di quello percepito nelle aree urbane. Per dare ossigeno ai 730 milioni di agricoltori e ai 20 milioni di pescatori, già sotto pressione per i rincari delle materie prime, il governo ha promesso sussidi per 19,2 miliardi di yuan (2,9 miliardi di dollari): una cifra che potrebbe non bastare. Il costo del raccolto di grano per mu (l’equivalente di 3,3 acri) è passato nell’arco di un solo anno da 35 a 60 yuan, il 70% in più.
«Anche se il governo ha stracciato le tasse sull’agricoltura due anni fa», spiega Ma Bingshen , agricoltore nella provincia di Hebei, «coltivare la terra costa sempre di più e questo rende le nostre vite più difficili». Più d’uno pensa di cambiare attività, i figli già guardano altrove. «Circa il 70% dei pescatori del nostro villaggio ha perso danaro nella prima metà dell’anno», spiega Cao Jianzhou , dando voce ai milioni di pescatori nelle sue condizioni. «Alcuni hanno già gettato la spugna e sopravvivono della somma incassata dopo avere venduto la propria barca come ferraglia». Un rapporto tutt’altro che idilliaco, quello tra i governanti e gli agricoltori, e non solo nel Paese del dragone.
Nell’intero continente l’inflazione è già ai massimi storici, e continuare ad abbattere gli attuali sussidi potrebbe rivelarsi politicamente insostenibile. Una ricerca del Fondo monetario internazionale indica che nel 2007, in 42 Paesi in via di sviluppo, circa tre quinti dell’aumento del prezzo del petrolio sono stati assorbiti dai governi e dalle raffinerie, e appena 18 nazioni hanno lasciato che l’aumento si trasferisse interamente ai consumatori finali. I governanti dell’area, dunque, si trovano tra l’incudine e il martello. E secondo l’Asian Development Bank, questo limbo porterà l’Asia sud-orientale a un rallentamento della crescita economica al 6,3%, contro l’8,4% del 2007, nonché a un’accelerazione dell’inflazione fino al 6,3%, contro il 3,2% medio registrato tra il 2004 al 2007. In gioco c’è la resistenza all’attuale congiuntura del motore della crescita dell’Asia sud-orientale: l’export. Per anni gli esportatori hanno beneficiato di prezzi calmierati per il carburante e per l’energia, avvantaggiandosi così rispetto ad altri mercati. Ora l’aumento dei prezzi per l’energia eroderà questo vantaggio.
E i produttori di alluminio ( vedi box ) iniziano già a sentire il vento freddo di questo nuovo corso.
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