Non profit
In America le Onlusora vanno in Borsa Do Something, una grande community che promuove il volontariato tra i giovani, ha lanciato un’Ipo. Da 8 milioni di dollari
Non profit Un nuovo fenomeno Oltreoceano
di Redazione

Donazioni in calo, famiglie in crisi e il non profit si “quota” in Borsa. Nell’America che inanella un crac bancario dopo l’altro seminando il panico a Wall Street, il terzo settore statunitense procede controcorrente. E prende spunto dalle tecniche dei broker e delle merchant bank per recuperare gli smottamenti del giving, tanto che tra le charities cresce la pianticella “turbo capitalista” dell’Ipo. L’offerta pubblica di vendita di “azioni” proprie per reperire risorse per lo sviluppo . Un anno fa ci ha provato Homeward Bound of Marin, associazione locale, della contea di Marin, in California, che si occupa di trovare un tetto al popolo degli homeless. La onlus ha lanciato una Ipo da 700mila dollari, raccogliendo perfino l’adesione del tycoon della finanza Warren Buffet.
Sulla stessa scia si sono “quotate” Volunteer Exchange della Silicon Valley, Teach for America, Volunteer Match, una sorta di eBay del volontariato, che ha perfino pubblicato 45 pagine di prospetto informativo sui dati finanziari dell’associazione. Secondo George Overholser di Non Profit Finance Fund, grazie a questo sistema di finanziamento le associazioni Usa hanno raccolto più di 200 milioni di dollari in pochi anni.
Nuove forme di fund raising? Non proprio. A cambiare è il modello societario, la presentazione dei bilanci (esaurienti quanto trasparenti) e la rappresentanza sul timone di comando, lasciando le porte aperte a nuove figure di investitori. Ne è l’esempio l’ultima offerta pubblica di vendita lanciata da Do Something, una delle più grandi community che promuove il volontariato tra i giovani, che ha accolto in seno al suo board nuovi soci. Scelti sulla base del denaro che sono disposti ad investire. L’Ipo si è posta l’obiettivo di raccogliere 8 milioni di dollari, promettendo in cambio un ritorno esclusivamente sociale, oltre a quello di rappresentanza.
«Portiamo avanti un business vero e proprio», dice Nancy Liblin (nella foto), ceo di Do Something, ma anziché vendere macchine o caramelle, vendiamo speranza e leadership». Speranza che valgono 80 azioni da 100mila dollari l’una. Un’offerta per medi e grandi investitori, non per i portafogli più piccoli. Il donor diventa automaticamente azionista, intitolato a prendere parte alla assemblea e ai meccanismi di voto e decisionali. La fluttuazione del certificato acquistato dipende dall’andamento economico della società. Borsa e non profit, diavolo e acquasanta per molti osservatori. Oggi il rapporto sembra cambiato. Anche in Italia il dibattito non manca. Dopo la proposta di Stefano Zamagni di lanciare un Borsino delle imprese sociali, ora è il tema della partecipazione allargata a tenere banco.
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