«Quello della seconda generazione è un dramma che scoppierà al massimo fra un paio d’anni». È preoccupata Cécile Kashetu Kyenge. Era venuta in Italia per studiare medicina. Finita l’università, in Congo è scoppiata la guerra e lei ha deciso di rimanere (ci torna però ogni anno per un mese, come medico volontario). È sposata con un italiano, hanno due figlie (di 15 e 13 anni) e vivono a Modena.
Vita: È così difficile per loro?
Cécile Kashetu Kyenge: È molto dura una vita nella quale ti puntano sempre il dito contro. Capita anche a me: mi ricordano in ogni momento che sono nera… Figuriamoci cosa vuol dire per delle adolescenti… Mi è capitato di andare in molte scuole professionali, frequentate da molti ragazzi d’origine straniera. Manifestano un malessere profondo, che talvolta trova sbocco nella violenza. Li aspettano difficoltà burocratiche enormi. E lo sanno. Basta leggere i loro blog.
Vita: Il nodo è sempre la cittadinanza…
Kashetu Kyenge: Certo. Occorrerebbe superare lo jus sanguinis e riconoscere la cittadinanza ai nati qui. Pure sarebbe necessario ripensare la Bossi Fini, coinvolgendo gli stranieri che ora non hanno voce ma che porterebbero il loro punto di vista. Infine concedere il diritto di voto, partendo dalle amministrative. Purtroppo la gente è convinta che lo straniero sia un pericolo. Io mi chiedo: come si può affidare i propri cari alle badanti e poi avere paura di loro? L’Italia non ha una politica d’integrazione e in un tempo di crisi socio-economica come l’attuale si scatenano le guerre fra poveri. Non si affrontano i problemi e l’immigrato finisce con l’essere il capro espiatorio per altre questioni. Quel che preoccupa di più è il silenzio…
Vita: In che senso?
Kashetu Kyenge: Mi riferisco a Martin Luther King che diceva «Non ho paura dei malvagi. Ho paura del silenzio degli onesti».
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