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Così parlò McCain

Chiusa la convention: il programma elettorale repubblicano in sintesi

di Riccardo Bianchi

Incitamenti da stadio, slogan pro-America, molti ringraziamenti a Dio e il ricordo, un po’ melenso, della sua prigionia in guerra. Col suo discorso McCain doveva eccitare la platea della convention repubblicana più di quanto fosse riuscita a fare il giorno prima la sua vice, Sarah Palin. Difficile dire che ce l’abbia fatta. D’altronde il candidato non si trova a suo agio con lo stile del “politicamente scorretto”, che tanto piace ai neo-repubblicani. Ma, nonostante gli attacchi all’avversario Obama fossero quasi tutti indirizzati al programma e poco alla sua figura, si può dar atto a McCain di avercela messa tutta e di aver riscosso un discreto successo tra i suoi sostenitori.

Ovviamente il nome di George W. Bush, il tabù di questa convention, non è uscito. McCain ha sorvolato con una frase: «Sono grato al presidente degli Stati Uniti per averci guidato in questi giorni bui che hanno seguito il peggior attacco della storia americana». Poi un toccante saluto alla famiglia, uno dei valori più volte citati nel discorso, e uno alla Palin, che ha descritto come una madre che conosce le difficoltà delle donne comuni, mandando in delirio la folla.

Poi ecco ciò che tutti aspettavano. Un «vinceremo queste elezioni» seguito da un elenco delle cose fatte nella sua carriera a Washington: lotta ai lobbisti, lotta agli sprechi e agli spreconi, lotta agli affaristi e ai burocrati. E, per far capire la sua vicinanza alla gente, due esempi reali. McCain cita prima una tipica famiglia della Pennsylvania, col marito scaricatore e allenatore di una squadra giovanile e con un figlio affetto da autismo, poi una del New Hampshire, il cui capofamiglia è morto in Iraq. Insomma, onore al sociale e onore ai militari.

Ma il candidato repubblicano prende anche le distanze dalla casta politica. «Combatto per restaurare l’orgoglio e i principi del nostro partito» afferma «siamo stati eletti per cambiare Washington, e abbiamo lasciato che Washington cambiasse noi». Colpiti e affondati in tanti, da Obama, già accusato dalla Palin di aver approfittato della sua elezione per fare carriera e avere successo, all’attuale governo, per cui gli americani, oggi, non vanno proprio matti.

Infine il programma elettorale:
Energia: stop al petrolio straniero, più pozzi sul suolo americano e più centrali nucleari.
Tasse: aprire il mercato, tagliare le tasse per rilanciare le piccole imprese e aumentare i posti di lavoro, spendere i fondi governativi con disciplina.
Valori: rafforzare quelli di famiglia e comunità, oltre che creatività e iniziativa.
Sanità: nuovo piano sanità, ma no al sistema pubblico «burocratizzato» proposto da Obama, dove «un burocrate sta tra voi e il vostro dottore».
Infanzia: raddoppio dell’esenzione per i figli, da 3.500 dollari a 7mila.
Lavoro e infortuni: preparare i lavoratori a un mercato globale. Aiuti economici a chi ha subito infortuni e un aiuto alla formazione per ritrovare un’occupazione.
Educazione: migliorare la burocrazia scolastica, aumentare la possibilità per le famiglie di scegliere la scuola privata.
Esteri: Stop ai 700 miliardi di dollari distribuiti ogni anno «ai paesi che ci disprezzano» (non si capisce se come cooperazione internazionale o come aiuti di stato). Guerra ad Al-Qaida, contrastare il rafforzamento nucleare dell’Iran, accusata di essere lo sponsor principale del terrorismo, migliori relazioni diplomatiche con la Russia, ma mano pesante in caso di aggressioni, come in Georgia.
Esercito: Massimo rispetto per i militari e rafforzamento delle forze armate, assicurare la pace ma evitando i conflitti. McCain, in un passaggio, afferma: «Io odio la guerra. È terribile oltre ogni immaginazione».
Governo: lavorare alla base dei problemi. Il repubblicano fa alcuni esempi: «passare dall’idea di rispondere ai disastri a quella di migliorare le reti di trasporto, dall’idea di proteggere la nostra sicurezza a quella di competere in un’economia globale, dall’idea di preparare i nostri lavoratori a quella di educare i nostri figli».


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