Formazione

Il mondo? Non è vero che tutto va peggio

Una generazione di giovani disperati, incapaci di sperare nel futuro e di impegnarsi per cambiare il mondo: ecco il risultato del mood catastrofista degli ultimi anni. Un educatore, insieme a Jacopo Fo, prova a invertire la rotta

di Sara De Carli

L’indice lascia un po’ perplessi. «Dimunuisce la povertà; Cala l’analfabetismo; Diminuisce la fame; Diminuisce la criminalità»… manco fosse il libro dei sogni dei governanti di mezzo mondo. Secondo l’autore, invece, è tutto vero. E ciascuna tesi è provata da una serie di dati ufficiali. Non è vero che tutto va peggio (Emi, pp. 224, euro 12) è il frutto di tre anni di lavoro di Michele Dotti, 35 anni, educatore e formatore del Cres: accanto al libro, scritto a quattro mani con Jacopo Fo, ci sono anche un blog e una serie di video su YouTube. In più, incontri a tappeto in mezza Italia. Insomma, una macchina da guerra per ribaltare il catastrofismo mediatico che ci affligge da anni, con effetti paradossali. Il primo e più grave? «Il fatto che i nostri giovani sono tutti disperati e vivono una depressione collettiva che li spinge al disimpegno».

Come il mondo continua a migliorare anche se non sembra, recita il sottotitolo. Lei invece come fa a dire che migliora?
Non lo dico io, lo dicono i dati. Ho fatto un lunghissimo lavoro di ricerca e i dati che ho messo insieme vengono tutti da fonti ufficiali, non da fantomatici istituti di ricerca, però sono molto nascosti e con pochissima visibilità mediatica.

Ci fa un esempio, giusto per capire il metodo?

Prendiamo la fame nel mondo: dal 1950 a oggi la popolazione denutrita è passata dal 50% al 17%, si è più che dimezzata. Siamo aibtuati a sentir dire che più la popolazione aumenterà, minore sarà la disponibilità di cibo, invece in trent’anni abbiamo visto la popolazione passare da 3 a 6 miliardi e la disponibilità di calorie pro capite da 2300 a 2700 al giorno, oltre la necessità giornaliera: vuol dire che non bisogna aumentare la produzione, ma diversificare la distrubuzione. Oppure la sicurezza…

Migliorata anche quella?
Il numero di omicidi in Italia in sedici anni è calato del 66%, il tasso di omicidi a carico degli stranieri è diminuito del 57% e quello a carico degli italiani del 400%, soprattutto per via del cambiamento di strategia della mafia. I giornali però sono riusciti, partendo da tre dati positivi, a fare una sintesi allarmistica, dicendo che è aumentata la percentuale di omicidi a carico degli stranieri. È vero, siccome gli omicidi a carico degli italiani sono dimuiti moltissimo, alla fine sul numero totale di omicidi commessi aumenta la percentuale di quelli a carico degli immigrati, che risultano passare dal 6 al 32%. Però detto così sembra gli immigrati delinquano cinque volte di più, invece delinquono la metà. È un delirio, la percezione rispetto a questi problemi è completamente scollata dalla realtà.

Non vorrà dire che viviamo in paradiso e non ce ne siamo mai accorti…

In parte è vero. Chiaro, si può sempre migliorare, però… Il risultato è che i nostri giovani vivono una specie di depressione collettiva, sono tutti disperati, alla lettera, non sono capaci di sperare un mondo migliore.

Davvero ha questa impressione?
Assolutamente, qualunque isegnante o educatore ha questa percezione, è indiscutibile. In pochi anni è calata una cappa grigia di fronte agli occhi dei nostri giovani, rendendoli incapaci di sperare. Questo produce impotenza, rassegnazione, una grande inedia e disimpegno. La parola domninante, nei discorsi dei giovani, è “oramai”: oramai non c’è più niente da fare. Sulla società, l’impegno ecologcio, tutto… Loro pensano che siamo negli ultimi decenni del genere umano perché la catastrofe climatica è ormai all’apice. Una cosa terribile: il catasfrofismo emergenziale non ha prodotto una coscienza ambientale, un ragionamento sugli stili di vita, ma solo la senzazione che oramai siamo alla fine dei giorni e tanto vale che io vada avanti a comportarmi come ho sempre fatto. A produrre cambiamenti sono le scelte individuali e collettivi negli stili di vita, che sono frutto di una presa di coscienza, non dell’allarmismo. Finanzia etica, gas, biologico, fonti rinnovabili, stili di vita: le vedono come battaglie giuste ma inutili.

Di solito si pensa che i protagonisti di questi mondi siano i giovani.
Non è vero niente. Non ci credono. Tant’è che tutte le associazioni, ecologiche, ecologiste, sociali, faticano ad avere volontari giovani. La storia va in un’altra direzione e ci va per conto suo, e i ragazzi credono che impegnarsi sia inutile.

Basta presentare dei dati astratti per generare un cambiamento?
No, non basta, però partire dai dati reali è necessario, perché questi dati positivi ci sono ma nessuno li dice. Il fatto è che c’è uno scarto enorme fra i valori, sogni, convinzioni delle persone e le loro scelte concete. Per esempio l’87% degli italiani dice di prestare attezione alla questione ecologica nel momento in cui acquista un’auto, ma poi il 60% delle nuove auto sono diesel, e il diesel inquina trenta volte più del benzina. Perché l’87% degli italiani mostra buone intenzioni ma poi il 60% fa scelte non conseguenti? Perché manca l’informazione, evidentemente.

E poi?
Poi è chiaro che la vera sfida è culturale. Il bisogno dei ragazzi è avere modelli ed esempi positivi per recuperare la coscienza delle possibilità di cambiamento, la gioia dell’impegno e di vedere dei frutti dell’impegno. Per dire, sono anni che in tv non trasmettono il film su Ghandi, perché? Perché è lungo? Anche Elisa di Rivombrosa lo è…

 

CHI E’
Michele Dotti è nato a Faenza nel 1973. A 18 anni è partito per l’Africa con Mani Tese e da allora vi è tornato quindici volte, anche come accompagnator di viaggi responsabili con T-Erre. In Burkina Faso ha conosciuto Jeannette, sua moglie, che ora vive in Italia: abbiamo due bambini, Eleonora e Francesco. Michele è un educatore e formatore del C.R.E.S. (Centro Ricerca Educazione allo Sviluppo) e un volontario di Mani Tese. Si dedica all’educazione allo sviluppo, soprattutto nelle scuole. Il suo blog è http://micheledotti.myblog.it/


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