Sostenibilità

Ryanair, senza la csrlow cost in picchiata

miti in crisi Per la compagnia irlandese i primi arretramenti

di Redazione

Ha volato a lungo e in alto la «faccia irresponsabile del capitalismo» (copyright Ian Pearson, ministro dell’Innovazione britannico), divorando col ghigno beffardo del suo amministratore delegato, Mike O’Leary, fette su fette di mercato dei cieli (il 7% del mercato Ue, dietro solo a Lufthansa) a discapito dei colossi dell’aviazione, sempre sull’orlo della crisi. Oggi però Ryanair, dopo un quarto di secolo con i motori al massimo – bad company per i dipendenti e gli avversari, ottima invece per gli azionisti, l’opposto di Alitalia – incomincia a perdere quota, appesantita dalla cattiva congiuntura internazionale ma anche dallo stile corsaro, tutt’altro che incline alla corporate social responsibility, del suo business.
Il primo atterraggio d’emergenza è arrivato a luglio, con la presentazione del conto economico dei primi quattro mesi dell’anno. Lo sconto a tutti i costi non fa più decollare i profitti. Anzi. La reginetta dei cieli low cost ha visto scivolare in picchiata gli utili da 138 a 33 milioni con una spia d’allarme sulle stime annuali, calcolate in perdita per circa 60 milioni. Qualcosa nella favola della ex Tipperary Airlines (era il nome a cui Tony Ryan, il padre fondatore, pensava per la sua compagnia regionale) si è inceppato. Tanto che perfino gli analisti, come quelli di Bcg Partners, sembrano convinti che il management dovrà rimettere mano alle rotte sulle strategie future. Magari ripensando il sogno delle tariffe più basse d’Europa. Intanto le cesoie di O’Leary hanno sforbiciato alcuni collegamenti da Stansted, l’aeroporto bandiera di Ryanair che ora, forte del proliferare di vettori low cost, chiede un ritocco sulle royalties di transito. I business collaterali, servizi finanziari (assicurazioni, carte di credito), prenotazioni hotel e noleggio auto, non galoppano al passo del caro petrolio e dell’inflazione Ue. E le uscite garibaldine della cricca di O’Leary indispettiscono sempre di più l’Unione Europea.
L’Antitrust ha appena comminato l’ennesima multa per pubblicità ingannevole, e Bruxelles ha avviato un’indagine sulla cancellazione dei voli – a prezzi gonfiati – acquistati da passeggeri su alcuni siti di broker di viaggi. L’ultimo caso è scoppiata nella madre patria, nei meandri di un portafoglio etico, quello del New Ireland Managed Fund. Spulciando nei titoli in cassa, il quotidiano The Post, ha trovato un mucchio di azioni Ryanair, suscitando un vespaio di polemiche perché il conto dei biglietti low cost lo pagano gli stakeholder.
I rapporti con i lavoratori di Ryanair sono noti da anni. Il celebre motto «no frills», niente fronzoli, ha un’altra faccia della medaglia che piace sempre meno ai consumatori. Fuori le sigle sindacali, per i lavoratori vige la regola del «love or leave it», taglio dei costi fino all’osso (fino alle penne per gli uffici). Un volto da bad company che incomincia a moltiplicare i gruppi di persone che rifiutano di volare Ryanair (vedi i siti I Hate Ryanair e Boycott Rayn Sir). L’opione pubblica non manda giù soprattutto il trattamento riservato ai disabili, obbligati a pagare 18 euro in più rispetto agli altri passeggeri per l’affitto di una sedia a rotelle per il volo. Tanto che alcune charity (come Scope e Uk Disabily Association) sono scese in campo lanciando una campagna di boicottaggio. Secondo O’Leary, la tempesta dei cieli scatenata dal caro greggio lascerà sopravvivere in volo solo cinque grandi compagnie aeree. E a terra non è escluso rimanga il modello «no frills».


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