Cultura

L’assalto ai cristiani?È un’India chetradisce se stessa

guerre di religione Intervista a Mariella Gramaglia

di Redazione

I26 cristiani uccisi in Orissa, i 10mila sfollati e i 4mila edifici distrutti – fra chiese, centri sociali, case, ospedali – rischiano di minare l’India alle sue basi, nel suo stesso «mito fondativo». Si condensa così l’analisi che Mariella Gramaglia – ex assessore alla Semplificazione e alle Pari opportunità del Comune di Roma – ha maturato dopo più di un anno trascorso sul campo, nella regione del Gujarat, con Progetto sviluppo, la ong della Cgil impegnata in una collaborazione con Sewa-Self Employed Women’s Association, unico sindacato al mondo di sole donne. Un anno che le ha regalato uno sguardo libero da stereotipi sull’India, raccontata nel libro Indiana.
Vita: Perché le violenze contro i cristiani attentano alle fondamenta dell’India?
Mariella Gramaglia: Ogni Paese ha il suo mito fondativo: qui sono la lotta al colonialismo e Ghandi. In entrambi i casi la tolleranza religiosa e il pluralismo sono essenziali. Per questo l’integralismo religioso è una contraddizione, e fra le più inquietanti: è un tradimento della stessa ragion d’essere dell’India.
Vita: Però lei scrive che «nel mondo hindu non esiste il fondamentalismo»?
Gramaglia: Non esiste il fondamentalismo perché non esiste il libro. Esiste però lo sciovinismo, legato al suolo e al sangue. Ed esiste una destra integralista che sposa questa ideologia hindu, questa religione del suolo. La destra integralista tollera le religioni che hanno fondatori nati nella loro stessa terra, come i buddisti o i sikh, mentre musulmani e cristiani sono visti come eredi dei dominatori. Perché poi le masse seguano questa ideologia? i motivi sono gli stessi in tutto il mondo, è una forma di difesa dalla paura. Anche se è importante ricordare che l’85% degli indiani sono induisti, quindi i fanatici sono una minoranza: bisogna stare attenti anche a non demonizzare questa religione.
Vita: Il direttore dell’Indian Social Institute di Delhi ha parlato di ragioni sociologiche, dicendo che le caste al potere vedono malvolentieri le conversioni al cristianesimo dei fuoricasta…
Gramaglia: È vero. La religione hindu è l’unica a pensare che gli uomini non sono tutti uguali. Religioni come il cristianesimo e il buddismo, con il loro messaggio di riscatto per i dalit e gli adivasi (i tribali) attraggono queste persone, che si convertono anche per trovare una loro dignità. Questa testimonianza di riscatto sociale influenza anche una reazione politica.
Vita: Come si concilia una classe politica così ancorata alle caste con 60 anni di democrazia?
Gramaglia: Bisogna distinguere tra democrazia formale e democrazia sostanziale. In India c’è un rispetto assoluto delle regole e delle pratiche democratiche, ma se mi chiede se questa democrazia riesce a nutrire di senso le pieghe della società civile e della vita quotidiana, devo ammettere che c’è una distanza consistente. Basti pensare che la metà delle donne e il 30% degli uomini sono analfabeti: ciò evidentemente contrasta con la democrazia intesa come nutrimento intellettuale della gente. Dobbiamo evitare la tentazione di sostituire il vecchio stereotipo dell’India passiva con un nuovo stereotipo sfavillante che riguarda in realtà solo una minoranza di cento milioni di persone ma è lontana dagli altri 800 milioni?
Vita: Per molti indiani colti e progressisti, dice nel suo libro, la politica è quella dell’impegno sociale. È davvero così?
Gramaglia: È una cosa che rende questo Paese molto diverso dall’Italia. Noi quando siamo delusi dalla politica facciamo involuzione in noi stessi, là invece la classe media, gli intellettuali, l’equivalente del nostro ceto medio riflessivo, dinanzi alla decadenza della politica istituzionale si butta nell’impegno sociale in prima persona. Ci sono moltissimi professori universitari che tengono corsi di prima alfabetizzazione nei villaggi, attrici che finanziano corsi per prevenire gli aborti selettivi, artisti che adottano a distanza bambini poveri. C’è un’abitudine alla concretezza.
Vita: Come vede il futuro?
Gramaglia: Siamo in un momento di transizione, che si risolverà nella primavera del 2009 con le elezioni. Se dovesse vincere la destra induista certo sarebbe molto preoccupante. Non penso che l’India possa rischiare la dittatura, ma mi auguro che il Congresso continui a governare.

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