Cultura

Perché i musulmani digiunano

Rasmea Salah, una delle reddattrici di Yalla Italia, spiega il significato del gesto che da oggi coinvolegarà i muslmani

di Redazione

 di Rasmea Salah
“O voi che credete, vi è prescritto il digiuno, come fu prescritto a coloro che credevano prima di voi.” (Sura II, 183)
In un primo momento i musulmani imitarano la tradizione giudaica dell’ashura, digiuno meritorio e non obbligatorio. Nel 624 d.C., tuttavia, fu istituito il digiuno islamico del mese di Ramadan tramite la rivelazione del sopracitato versetto. Da quel momento il Ramadan divenne il mese più sacro del calendario lunare islamico e il IV pilastro dell’Islam.
Esso fu prescritto a ogni adulto in salute e fu invece vietato dalla legge a malati, a chi fosse in viaggio, a donne durante il ciclo, in stato di gravidanza o di allattamento, ad anziani e bambini.
Tramite la sua istituzione, la prima comunità islamica volle apportare ai suoi fedeli vantaggi di carattere sociale, fisico e soprattutto spirituale: creare un clima di unità fra i credenti, purificare l’organismo e favorire l’introspezione e l’autodisciplina.
Il termine digiuno, in arabo sawm, rimanda infatti al concetto di “astensione” che non si riferisce alla sola astinenza materiale da cibi, bevande e atti sessuali ma soprattutto a quella morale da atteggiamenti litigiosi, maldicenza, menzogna, distrazioni e passioni.
Digiunare dall’alba al tramonto per trenta giorni consecutivi non voleva essere una mortificazione del corpo ma una ferrea disciplina interiore che portasse ogni credente a rammentarsi delle privazioni dei poveri e di conseguenza ad assisterli e aiutarli. Serviva quindi a promuovere una solidarietà sociale che varcasse i limiti delle relazioni interclaniche che così rigidamente avevano frammentato la società tribale dell’Arabia preislamica dal V al VII secolo.
Il Ramadan è il più importante dei mesi sacri dell’Islam perché vi si commemora la discesa della Rivelazione coranica al Profeta Muhammad tramite l’arcangelo Gabriele. Il Corano sarebbe stato rivelato nella Notte del Destino (laylat al-qadr), una delle ultime 5 notti dispari del mese benedetto; alcuni affermano sia la ventisettesima, ma in realtà non si sa esattamente quale sia.
“In verità Lo rivelammo nella notte del Destino. Cos’è la notte del Destino? La notte del Destino è più bella di mille mesi. Vi scendono gli Angeli e lo spirito, col permesso di Dio, a fissare ogni cosa. Ed è pace fino al mattino.” (Sura del Destino, XCVII)
La preghiera in questa precisa notte varrebbe quindi come mille mesi di devozione. Non sapendo con precisione quale sia, i musulmani per sicurezza praticano il ritiro spirituale in moschea gli ultimi 10 giorni del mese per dedicarsi solo alla preghiera e alla lettura del Corano, tralasciando le normali occupazioni mondane. Questa pratica, chiamata i’tikaf, non è comunque un totale distacco dal mondo perché la legge impone di provvedere ai bisogni più essenziali permettendo di uscire dal ritiro per ogni necessità ed evitando l’astinenza in toto dal parlare con la gente.
Altra pratica molto seguita è il tarawih, la lettura quotidiana in moschea di un trentesimo del Corano a partire dal primo giorno del mese per poterlo così terminare prima della festa di fine Ramadan detta ‘id el-fitr, che è la ricorrenza più sentita dell’anno, come per i cristiani il Natale. La festa consiste prima in una preghiera collettiva detta Salat el-‘id in moschea, poi in un grande pranzo in compagnia di parenti e amici, seguito dallo scambio di regali e doni.

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