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Federalismo fiscale, tanti sì

A Rimini un confronto tra maggiornaza e opposizione sulla riforma Calderoli

di Antonietta Nembri

Era la prima volta di Roberto Calderoli al Meeting. E ieri il ministro leghista ha voluto spiegare alla platea i criteri della sua riforma federalista, in un confronto con altri leader della maggioranza e dell’opposizione. Ha detto:  «Il federalismo fiscale non è più un’opzione. Tutti si sono accorti di quanto uno stato pensato in senso federalista permetta un maggiore sviluppo. Per l’Italia il federalismo fiscale è un’esigenza assoluta, a causa dello stato dei nostri conti, con alcune regioni in amministrazione controllata e con la gran parte delle altre che spendono più di quanto riescano a coprire: non si può tagliare se non si cambia nella direzione di una maggior efficacia ed efficienza». L’obiettivo è quello di far coincidere il punto di entrata dei fondi con quello della spesa, cercando di mettere in correlazione il tributo con le prestazioni. L’Ici non tornerà certo, ma per i Comuni il ministro pensa a una tassa che sia legata ai servizi erogati soprattutto a livello urbanistico «prendiamo le dodici, tredici tasse sugli immobili in un unico tributo. Per le province che si occupano soprattutto di viabilità si potrebbe pensare a una tassa automobilista unica, mentre per le Regioni la tassa deve essere collegata ai servizi alla persona erogati da esse (sanità, assistenza, istruzione). Parla di politica finanziaria del territorio Calderoli che  non tralascia di sottolineare come al Sud ci potrà essere una fiscalità di sviluppo.
Con il federalismo fiscale inoltre «potrebbe essere più facilmente contrastata l’evasione». I cittadini saranno più coscienti, è il ragionamento del ministro, perché l’evasione avrà ricadute più evidenti sulle loro vite. Di particolare importanza, tra le altre cose, Calderoli ritiene l’introduzione del costo standard in sostituzione del metodo redistributivo basato sulla spesa storica. Questo meccanismo, per cui nel finanziamento alle regioni farà fede il costo del servizio delle regioni più virtuose d’Italia, sarà riequilibrato naturalmente dal fondo perequativo. «In questa proposta – ha sottolineato – c’è il concetto della solidarietà ma anche della responsabilità e della trasparenza. L’obiettivo è l’uomo: soggetto che controlla e giudica, arbitro istituzionale della qualità dell’amministrazione. E ci sarà più spazio anche alla complementarietà, la scelta viene fatta nel momento contributivo, per esempio a un soggetto non profit più meritevole e che svolge azioni migliori».
 
Il primo a prendere la parola è Vannino Chiti, vicepresidente del Senato, che precisa di parlare a titolo personale. «Il federalismo fiscale non bisogna solo farlo, ma attuarlo e questo è urgente perché l’Italia in questo momento è istituzionalmente priva di un assetto definito, siamo nella terra di nessuno. Non è più centralista e non è federalista». Federalismo solidale da un lato, ma anche attenzione ai tempi di passaggio dal meccanismo della spesa storica a quello basato sui costi standard che «sarebbe meglio avvenga il più velocemente possibile», ma evitando di accelerare per poi prorogare i termini. Chiti non ha nascosto alcuni dubbi: istruzione e trasporto pubblico, fa notare, non essendo di stretta competenza delle regioni, con l’introduzione del criterio del costo standard potrebbero comportare problemi nell’erogazione del servizio che comunque deve essere garantito a tutti. E nel ricordare come tutte le regioni abbiano chiesto di prendere a riferimento in alcuni ambiti la Lombardia, specifica che una delle urgenze è la chiara definizione degli strumenti impositivi. «È molto importante definire quali sono le imposte autonome e quali le partecipate».

Maurizio Gasparri da un lato vede nell’opera dell’intergruppo uno stimolo, dall’altra rende omaggio alla «pazienza di Calderoli nel confronto sul territorio». Ha poi invitato a non temere questo federalismo, partendo anche dalla considerazione che il 70 per cento della spesa pubblica è sul territorio, quindi una maggiore prossimità sarà occasione per i cittadini di «un maggiore controllo al fine di ottenere una riduzione di spesa e, attraverso il voto, la ratifica della qualità del servizio erogato e delle spese sostenute dalle amministrazioni. Dobbiamo dare spazio alla società, alla sua ricchezza» chiosa Gasparri richiamando l’esperienza delle comunità di recupero gestite dalla società civile, sicuramente più funzionali delle iniziative di contrasto alla tossicodipendenza gestite direttamente dallo Stato. Il federalismo che interessa a Ermete Realacci (Pd) è quello «incrociato con la sussidiarietà» e da appartenente storico dell’intergruppo parlamentare ha ricordato che una delle cose che accomuna tutti è la convinzione che l’Italia può dare di più di quanto a volte la politica immagini e per rendere chiaro il suo pensiero Realacci porta l’esempio del calciatore brasiliano Garrincha che, malato di poliomielite da piccolo aveva una gamba più corta dell’altra e a ben vedere non avrebbe neanche dovuto calzare gli scarpini, mentre poi incantava tutti ogni volta che scendeva in campo «L’Italia è così. Il federalismo è una cosa utile se sa leggere la società e ne difende le punte di eccellenza». Un esempio le medaglie vinte alle olimpiadi: ma non solo quelle degli atleti, anche quelle di alcune imprese «quasi tutte le armi usate erano fatte a Brescia, mentre gli scafi delle gare di vela erano italiani». Un dibattito urgente per Luca Volontè (Udc) per il quale la parola federalismo «è un’altra parola della sussidiarietà. Occorre perché dà più responsabilità, più libertà e il federalismo è la grande incompiuta della seconda Repubblica. Il federalismo è una grande pagina bianca», ha detto l’esponente centrista richiamando la necessità della perequazione e di ridurre le differenze tra le regioni. Ugo Sposetti (Pd) da parte sua ha posto l’accento su due questioni secondo lui da affrontare andando al di là del federalismo fiscale: il Senato federale e lo status delle regioni a statuto speciale, che cosa si fa dopo sessant’anni si è chiesto e ha chiesto Sposetti. Infine, l’esponente Pd ha usato come esempio i volontari del Meeting e tutti i volontari in genere il loro sguardo sereno che è quello di chi dà qualcosa a un altro uomo non chiedendo nulla, «finché ci sarà gente così penso ci sia la speranza di difendere e costruire un paese più civile, moderno e soprattutto solidale».
Maurizio Lupi, definito la “guida” dell’intergruppo, che ha elogiato la sensibilità di Calderoli e il suo metodo dialogante «non formale» e dall’altra ha osservato come chiunque visiti il Meeting si sia imbattuto nel racconto di esperienze fatte da persone che «accettano la sfida con la realtà e a essa rispondono», quindi, «la politica non può che mettersi al servizio della ricchezza che esiste. Nel nostro lavoro cerchiamo di far sì – ha concluso – che questo non si perda e in materia fiscale far sì che sia declinato il principio di sussidiarietà».


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