Sostenibilità

Amazzonia, va in scenala guerra delle cifre

sos foresta La sfida più difficile per il presidente Lula

di Redazione

da San Paolo del Brasile, Paolo Manzo
La guerra per l’Amazzonia è il titolo di una delle rubriche di approfondimento più seguite della Tv Record, la rete televisiva di proprietà dell’imprenditore (e “vescovo” evangelico) Edir Macedo. Uno scenario non tanto improbabile, visto che al suo interno sono preservate immense ricchezze vegetali e animali ma, soprattutto, un bene ancora più prezioso: l’acqua. In Amazzonia, infatti, sono preservate il 21% delle riserve totali di acqua dolce del pianeta terra e uno studio divulgato dall’Onu avverte che proprio la mancanza di acqua potabile sarà uno dei principali motivi di conflitto nel secolo XXI.
Ma la guerra dell’Amazzonia è già in corso, almeno sul fronte delle cifre. Secondo l’ong Imazon solo nello Stato del Parà nell’ultimo anno le dimensioni della distruzione della foresta sono stati pari a 612 chilometri quadrati, con un incremento del 23% rispetto al giugno 2007. Il neo ministro dell’Ambiente, Carlos Minc ha fatto però sapere di non tenere in conto i dati delle ong. «Nel giugno 2008», ha detto Minc, «il disboscamento è calato del 26% rispetto al mese precedente. 876 chilometri quadrati contro i 1.096 di maggio. Questi sono i dati dell’Istituto nazionale delle ricerche spaziali e noi ci basiamo esclusivamente sui dati dei loro satelliti».
Il governo del presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva difende il suo operato, anche perché quella di proteggere la maggiore foresta del pianeta è una delle sue missioni più importanti, con un progetto di salvaguardia ad hoc del polmone verde del mondo, il Pas – Progetto Amazzonia sostenibile, dotato di un fondo straordinario e di un coordinatore, il ministro Roberto Mangabeira Unger. L’obiettivo del piano è quello di «mettere in pratica lo slogan dello sviluppo sostenibile e scoprire come riconciliare gli impegni produttivi, ambientali e sociali dell’Amazzonia».

Foresta militarizzata
Ma la guerra dell’Amazzonia è anche una guerra condotta con armi e esercito: la “riconquista militare” dell’Amazzonia verrà fatta nei prossimi giorni con l’invio di una truppa speciale di almeno 500 unità del genio militare, per controllare tagliatori clandestini e speculatori, brasiliani e non. Del resto ai ritmi attuali il raggiungimento dell’obiettivo “disboscamento zero” entro il 2015, un punto di orgoglio del governo Lula, rischia di essere un proclama beffardo: secondo alcune statistiche di ong internazionali, infatti, nel 2070 la foresta amazzonica sarà solo un ricordo. Oltre all’esercito, tuttavia, per proteggere il più grande polmone verde del mondo il Brasile ha addirittura chiamato in causa l’Abin, ossia i servizi segreti brasiliani, che a metà giugno hanno consegnato un rapporto dettagliato al ministro della Giustizia. Secondo le prime informazioni che sono già trapelate sui mass-media brasiliani, sul banco degli imputati ci sarebbero anche una ventina di ong internazionali, a cominciare dalla britannica Cool Earth, fondata dal multimiliardario svedese Johan Eliasch, consigliere di Gordon Brown sulle tematiche ambientali e multato proprio nei giorni scorsi dall’Ibama, l’Istituto brasiliano dell’ambiente, di mezzo miliardo di reais, oltre 200 milioni di euro. La sua colpa? Invece di difendere la foresta – come dichiarato ai quattro venti sul sito della sua ong – nei 160mila ettari di terreno da lui controllati, disboscava allegramente alla ricerca di minerali preziosi.
Di certo c’è che, mai come in passato, l’esercito brasiliano sta compiendo esercitazioni all’interno della foresta e sui fiumi nelle zone di confine dell’Amazzonia. Aree che sino a ieri erano state lasciate a se stesse da Brasilia ma che oggi il ministro della Difesa, Nelson Jobim giura di volere controllare, anche e soprattutto con l’esercito. «Se qualche guerrigliero delle Farc colombiane dovesse essere intercettato in territorio brasiliano dai nostri soldati? Gli spareremmo contro», risponde senza esitare a una nostra precisa domanda. A preoccupare molto i brasiliani, tuttavia, non sono tanto i guerriglieri marxisti leninisti colombiani ma soprattutto le pressioni mondiali, con in testa Stati Uniti ed Europa, che da decenni anelano all’internazionalizzazione dell’Amazzonia. Dal momento che non siete in grado di preservare da soli il polmone del mondo che in realtà è un bene comune dell’umanità, questo il succo del discorso, mettiamolo sotto tutela internazionale. Una prospettiva vista come fumo negli occhi dal governo Lula. Anche perché legata all’Amazzonia c’è una delle problematiche di sovranità più spinose, quella della biopirateria internazionale. Basti pensare che nel 2003 proprio una commissione parlamentare di inchiesta sulla biopirateria ha appurato che circa 20mila esemplari di piante escono illegalmente dal Brasile ogni anno, con la copertura di sedicenti iniziative filantropiche o finte organizzazioni non governative “nascoste” tra le 170mila ong presenti in Amazzonia, provocando danni immensi alla biodiversità amazzonica e all’economia del Paese.


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