Welfare
Il carcere on lineraccontato allacasalinga di Voghera
Informazione Emilia Patruno giornalista e factotum del sito ildue.it
di Redazione

Ad Emilia Patruno sono bastati un numero e un mouse per evadere. La grande fuga è datata 1999. Quell’anno nello sterminato world wide web compare un dominio destinato a lasciare il segno. Si chiama Il Due (il numero del civico di piazza Filangieri, sede di San Vittore) ed è la prima testata carceraria a comparire on line, e dunque consultabile a colpi di mouse: www.ildue.it. Una rivoluzione. Da quel momento, le notizie da dietro le sbarre cominciano a fuggire all’esterno senza passare dal setaccio dell’amministrazione penitenziaria. «Il nostro esempio, poi», ricorda la Patruno, «è stato egregiamente seguito dal gruppo di Ristretti Orizzonti».
La scintilla è scoppiata un giorno di 20 anni fa. Già allora giornalista a Famiglia Cristiana, Emilia Patruno inciampa nel carcere quasi per caso. «Il giornale mi aveva mandato a seguire un convegno a San Vittore e a un certo punto mi avvicina un tizio. “Tu sei una giornalista”, mi fa. “Sì”, gli rispondo. “Allora ci puoi dare una mano”». Del nome del “tizio” non c’è traccia nei ricordi, ma la Patruno il cognome se lo ricorda bene. «Era il detenuto Mamone», il suo primo caporedattore, «anche se poi è andato a finire di scontare la pena negli Stati Uniti». La testata si chiamava Magazine 2 e nasceva sulle ceneri del vecchio Giornale di San Vittore. «Certo, prendevo le persone che mi segnalava la direzione, ma prima di allora non si era mai vista una pubblicazione penitenziaria che fosse diretta da un giornalista». Esterno all’amministrazione era anche l’editore, la Sesta Opera San Fedele. Il rapporto con l’associazione però durò appena un paio di anni. «Avevano una mentalità troppo antiquata». Meglio mettersi in proprio, allora.
Quraranta pagine ben fatte, uscita mensile, 1.400 abbonati, un’impaginazione d’autore (ad occuparsene era lo scultore Gianfranco Pardi, marito di Emilia) e foto di qualità (la firma è quella di Roby Schirer) per un budget complessivo di 200mila lire al mese. «Poca roba, che mettevo di tasca mia». Il problema di fondo però rimaneva: «Noi dovevamo parlare alla società, non a quelli, come me, che si fanno le pippe sul carcere. Anche perché chi sostiene che di carcere non ne parla nessuno, dice una balla: se ne parla dalla sera alla mattina!». Lo schema è chiaro: «Agli estremi ci sono quelli che i detenuti li vogliono vedere morti e chi, dall’altra parte, è pronto a inginocchiarsi di fronte a una cella. In mezzo però c’è tanta gente che con le giuste informazioni è pronta a rivedere i propri pregiudizi». Il Due.it spara proprio in questa direzione. Con 140 accessi quotidiani «oggi finalmente siamo un giornale che conta e rompe le palle».
Dietro il sito pulsa il cuore di una onlus. «Sì», conferma la Patruno, «dal 2003 ci siamo costituiti in associazione e onlus». Alla nuova veste giuridica ha corrisposto una esponenziale dilatazione delle attività. «Io mi rivolgo alla casalinga di Voghera». Per questo oltre a un database di notizia di settore, a fianco del Due.it sono nati, fra gli altri, Criminal mouse, il superpremiato gioco dell’oca in the jail, una catena di libri fra cui spicca Avanzi di galera, ricettario dal carcere che a suo tempo fu un vero e proprio “caso” nel mondo dell’enogastronomia che destò l’ammirazione di Umberto Eco, e soprattutto Belli dentro, la sit-com scanzonata in tipico stile Mediaset che ha portato il carcere nelle case di tutti gli italiani. Ideatrice di quelle striscia è stata, naturalmente, Emilia Patruno. Non pochi fra i colleghi volontari deglutirono a fatica l’iniziativa. «La mamma che va in Alaska per non dire alla figlia che è in galera, è certo una situazione esagerata, ma io ne ho conosciute tante di persone che fingevano improbabili trasferte di lavoro mentre stavano dietro una cella. Quella serie, con i suoi personaggi fissi rappresentati sempre sulla stessa scena, finisce per creare un meccanismo di affettività fra lo spettatore e i detenuti che, in fin dei conti, è quello che vado cercando con il mio lavoro».
Ma come tira avanti Due.it, su cui qualche tempo fa ha messo gli occhi perfino il Washington Post? «I 500 euro per l’acquisto del dominio li ho messi io, da tre anni poi facciamo il 5 per mille, anche se sino ad ora non ci è arrivato un centesimo, ultimamente poi abbiamo ottenuto un finanziamento dalla Fondazione Cariplo per il progetto Al Cappone (vedi sito www.alcappone.it), per il resto le nostre attività sono praticamente a costo zero». L’equilibrio di bilancio però non tranquillizza la giornalista: «L’on line è una frontiera ancora tutta da conoscere». L’ultimo approdo è un blog. Si chiama Blindo a Blindo. «Nel carcere da anni ci passo tre giorni a settimana, siamo tutti blindati, ma non riesco a immaginare un posto dove la mia fantasia possa essere più libera».
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