Famiglia

Si è acceso un monitorche riaccende napoli

Informazione Un mensile molto creativo nato «contro il sistema della regione»

di Redazione

Loro, il progetto, l’hanno messo nero su bianco e nel 2007 è nato, dopo un travaglio di circa un anno, un mensile chiamato Monitor.
Monitor per dire che guardano la città. Per ricordare che a Napoli, città fra le più complesse, c’è bisogno di attenzione anche critica come di proposte innovative. C’è bisogno di occhi consapevoli, che magari – un po’ come questi giovani – abbiano visto qualche pezzo di mondo e sappiano comparare. Con intelligenza. E tanta memoria. Perché i disastri non nascono dall’oggi al domani. Crescono un po’ alla volta. Come è avvenuto (e come tutti immaginano) con l’affaire rifiuti. Non è un caso che uno degli ultimi numeri di Monitor abbia comparato le recenti strategie per risolvere la questione. Mostrando, nero su bianco appunto, come più divergenti non potessero essere.

Giornalismo under 35
All’inizio il gruppo era ristretto. Tre ragazzi, fra cui Luca Russomando, maestro e pubblicista, con esperienza di lavoro nei centri sociali della città, alcuni anni passati in Francia e Spagna: «Proveniamo dall’attività politica di base e dalla collaborazione con Riccardo Orioles, che è il direttore responsabile di Monitor dopo aver lavorato ai Siciliani con Giuseppe Fava, il giornalista ucciso dalla mafia, e ad Avvenimenti. L’anno di discussione interna, in seguito al quale è nato il progetto del giornale, ci è servito per avere idee chiare. Sulla scrittura, sul tipo di giornalismo narrativo e ben scritto che vogliamo fare, sulla veste grafica e l’integrazione con la parte visiva. Facciamo le riunioni di redazione una volta al mese. In genere una settimana dopo che è uscito il numero. Poi a fare materialmente il giornale siamo un gruppo più ristretto, cinque/sei persone, ci vediamo ogni giorno e continuiamo in modo informale la riflessione. Comunque, fra giornalisti e artisti in totale siamo una ventina, con un’età che va dai 25 ai 35 anni».

Una redazione-atelier
Così da gennaio 2007, Monitor (che si autofinanzia con gli abbonamenti ed è frutto di lavoro volontario) esce regolarmente, il 15 di ogni mese. Nonostante l’informalità che regna. Anzi proprio perché questo ordine informale consente cose che giornali assai più ricchi e strutturati non possono nemmeno sognare. Ad esempio che la redazione sia un «luogo aperto, dove la gente possa formarsi e crescere, fare delle cose insieme, spermentarsi, fare gruppo», puntualizza Russomando, «cosa ancor più possibile ora, visto che abbiamo una redazione vera e propria che funziona come atelier per gli artisti e luogo di dibattito per i giornalisti».
C’è poi l’aspetto visivo, che fa la sua parte. Ed è una parte decisamente vincente. Disegnatori molto creativi sono stati arruolati in redazione. Tutti lavorano in bianco e nero, con immagini cariche di forza, fantasia e suggestione. I loro nomi? Sembrano le firme dei writers urbani:Cyro, Malov, Luk, Cykalov, Cyop, Kaf…
È grazie all’informalità che i giornalisti riescono a cogliere la città quale veramente è. Di fronte alla superficialità dei grandi quotidiani, alla difficoltà loro di fare un giornalismo più meditato e approfondito, di riuscire insomma a soddisfare il bisogno di racconto che una metropoli come Napoli evidentemente ha, la redazione di Monitor ha antenne sul territorio che si chiamo associazioni, centri sociali, reti di cittadini. «Il nostro intento», prosegue Russomando, «non è tanto produrre il giornale, ma creare occasioni di dibattito nella città, promuovendo forme di partecipazione e confronto. Non abbiamo intenzione di fare controinformazione: siamo sicuri dei nostri mezzi e pensiamo di fare informazione, raccontando da una prospettiva diversa da quella dei grandi media. I nostri contatti con le associazioni e il territorio sono relazioni costruite nel tempo non con questo scopo. Ci accomuna la voglia di avere spazi mentali di organizzazione al di fuori delle istituzioni e l’idea che un modello di città non possa non tener conto delle persone che ci stanno e hanno voce in capitolo, per dire come vogliono vivere nel posto in cui abitano. Cosa dovrebbe diventare l’ex Bagnoli. Cosa l’area industriale…».

Presentazione a Secondigliano
In questo modo sono nati i numeri che hanno raccontato i rifiuti, gli adolescenti, i campi rom (questo seguito da una presentazione alla cittadinanza, avvenuta nella baracca ludoteca – ve la figurate? – in uno dei campi di Secondigliano). Monitor insomma come strumento di condivisione, che crea dibattito e base del fare politica. Di un diverso modo di fare (e concepire) la politica. «La città nel suo complesso, e non il solo centro storico, è una realtà molto complessa, rispetto alla quale vogliamo dare una rappresentazione plurale. Lo abbiamo scritto nella prefazione a un Annuario di reportage inediti che uscirà a settembre: questo giornale è un po’ come un inventario della città. Le caselle da riempire sono moltissime. Mese dopo mese, aggiungiamo dati e racconti, consapevoli che la realtà muta continuamente».

Quale idea di città
Leggere e narrare. Guardare la città e veicolare idee differenti, abituando il lettore ad un altro tipo di scrittura, cioè di racconto e di pensiero. Se questo è lo scopo di Monitor, qual è la sua idea di metropoli? «Più che una ricetta che non abbiamo, vogliamo porre alcune questioni al centro della riflessione. A cominciare da quella urbanistica, schierandoci contro la riqualificazione fatta per i turisti. A quella amministrativa. Dal clima sociale alla spaccatura fra ceto popolare e ceto medio. Pensiamo a un giornale come percorso di ricerca. Non abbiamo soluzioni pronte ma abbiamo viaggiato, visto altri luoghi. Noi vogliamo far parlare i fatti. Quando si riesce a focalizzare un’inchiesta, ci si può lavorare a lungo, le sorprese sono continue. Nulla è stato raccontato. Se si approfondisce un tema, escono fuori cose che stanno lì, basta semplicemente mettersi all’ascolto per coglierle».


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