Economia

Bosnia: a questa coopun solo dio non basta

cooperazione Il modello mutualistico ha fatto rinascere una comunità

di Redazione

Doboj, Bosnia Erzegovina, 100mila abitanti a 150 km a nord di Sarajevo. Luglio 2008. Hasan Hodzic, 37 anni, agricoltore bosniaco musulmano, qualche mese prima aveva bisogno di sacchi per imballare la paglia appena raccolta. Per le sue tasche, i prezzi di mercato erano inarrivabili. Ma Tinde Kozic, 42 anni, serbo-bosniaca ortodossa, responsabile di una piccola fabbrica di plastica legata alla cooperativa Trebava, glieli ha forniti a prezzo ribassato. Si conoscevano perché entrambi erano soci del Multietnicki Konzorcijum (Consorzio multietnico). Tutto normale, si direbbe. Invece quello che è successo ha dell’incredibile: è la prima esperienza di “scambio” tra etnie che un decennio prima si sono massacrate nella terribile guerra della ex Jugoslavia. Uno “scambio” che ormai coinvolge anche la terza etnia di Bosnia, i croati, cattolici, per merito di un progetto che ha portato alla concessione di microcrediti finalizzati alla creazione di tre cooperative agricole, una per etnia (quella croata è Agrousora), unite dallo scorso aprile in un unico consorzio.

Regia emiliana
Il progetto, di durata biennale, vale 996mila euro. E parla italiano: è l’ong bolognese Gvc – Gruppo di volontariato civile la “mente” che, ottenuti gli appoggi economici (500mila euro dal Mae, l’italiano ministero Affari esteri) e logistici (Legacoop Reggio Emilia e il consorzio di 27 coop emiliane Borea, che si sono occupati della formazione locale). A beneficiarne sono 300 locali tra famiglie di piccoli produttori e profughi delle tre etnie rientrati alla fine del conflitto. Che ora ritornano a guardarsi in faccia. E a collaborare: si incontrano, infatti, almeno due volte a settimana. Uno dei più motivati è proprio Hodzic, presidente della coop musulmana Zelena Polja e, per l’anno in corso, del Consorzio (l’incarico è annuale, poi a rotazione il timone passa a un’etnia diversa, così avviene in tutte le istituzioni della Bosnia Erzegovina).
A lui, a fine 1995, una bomba aveva sventrato la casa e sfiorato la moglie, incinta di sette mesi. Un anno dopo, è stato il primo a fondare un’associazione di agricoltori, «per far ripartire l’economia locale: ci mancava tutto», spiega. «Soprattutto la formazione, che è arrivata con il progetto della cooperazione italiana», aggiunge il sindaco di Doboj Alicic Izudin, «il risultato è sotto gli occhi di tutti, ora l’economia locale si muove davvero. E già altri comuni ci hanno chiesto informazioni».
Per formarsi il musulmano Hodzic ha passato due settimane a Reggio Emilia. Con lui altre 13 persone tra cui il serbo Branko Joksimovic, 56 anni, responsabile di Trebava: «Il modello mutualistico delle cooperative italiane è stato per noi una sorta di rivelazione». «Da quando siamo tornati, costruire una rete efficiente è stato il nostro principale obiettivo». Raggiunto? «Sì. Vuole un esempio? Del mangime che produco ora ne beneficiano a prezzi calmierati quasi tutti i soci del consorzio, in cambio io ho frutta, verdura, latticini a un prezzo accessibile. Così siamo usciti dalle miserie del dopoguerra».
All’attività di Joksimovic il progetto del Gvc ha destinato un miscelatore da 6mila euro. Stessa modalità di sostegno anche per gli altri partner locali: ad esempio, alla fabbrica di plastica di Kozic è stato assegnato un macchinario speciale, mentre a Desa Cvijanovic, 60 anni, produttrice di conserve di verdure, anche lei della coop Trebava, è stato consegnato uno strumento per il lavaggio degli ortaggi. La Zelena Polja di Hodzic ha ottenuto invece mezzi agricoli, mentre la coop croata Agrousora, specializzata in frutta e pollame, ha “guadagnato” un camion. «Tutto tramite il microcredito: ognuno ha chiesto e ottenuto quello di cui aveva più bisogno. Il 50% del finanziamento è a fondo perduto, l’altra metà è a credito, ma va ridata al consorzio e non ai donatori», spiega Luigi Politano, capoprogetto del Gvc.

Qui si fa la storia
«Quello a cui siamo di fronte può diventare un modello per tutta la Bosnia», spiega l’ambasciatore italiano a Sarajevo, Alessandro Fallavollita, «agricoltura e cooperativismo sono le due parole chiave per ricostruire un tessuto di riconciliazione nazionale». L’ambasciatore, il responsabile dell’Utl (Unità tecnico locale della cooperazione governativa italiana) Aldo Sicignano e alcuni dirigenti locali hanno incontrato, in un convegno conclusivo il 16 luglio scorso nella capitale bosniaca, gli operatori italiani e i soci delle tre cooperative.
«È un progetto che farà storia, anche perché ha riavvicinato i giovani al lavoro agricolo», ha detto Slavko Dobrilovic, croato, presidente di turno della Lega bosniaca delle cooperative, nata nel 2003. «Dagli ottimi risultati ottenuti si è stabilito di continuare con un ulteriore intervento», rivela Patrizia Santillo, presidente di Gvc, «l’obiettivo è rendere il consorzio competitivo sul mercato, anche attraverso accordi economici con le cooperative italiane». Con una linea precisa. «Anche in questo caso, le controparti italiane faranno da ponte, da supporto per i soggetti locali, i quali decideranno ogni singolo passo in modo spontaneo», aggiunge Giorgio Bertinelli, vicepresidente di Legacoop. Alle porte, quindi, un nuovo progetto ambizioso, da 2,3 milioni di euro, che verrà presentato entro l’anno. Al quale l’Utl, in via informale per ora, ha già dato parere positivo. E che è destinato a rendere ancora più nitido il difficile cammino delle etnie di Bosnia verso una vera integrazione.


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