Formazione

Qui vive un milione di italiani in povertà. San Paolo, città nostra

Un quarto della popolazione è di nostri connazionali: che non hanno trovato l’America ma la miseria. Il nostro inviato li ha incontrati.

di Paolo Manzo

San Paolo, dicembre Giuseppe Fazio ha 62 anni. Dopo aver lavorato per 35 anni alla Brahma, la più grande ditta di birra del Sudamerica, di pensione brasiliana percepisce 600 reais, pari a circa 160 euro. Una miseria in un Brasile che, dopo decenni di cure neoliberiste, ha prezzi abbastanza simili a quelli italiani. «Devo ringraziare quel ladro dell?ex presidente Collor de Mello, che in un giorno solo, con una legge, mi ha fatto perdere almeno 100 euro». Già, Collor. Quello dell?impeachment e che gestiva le casse dei servizi sociali come fossero il suo salvadanaio personale. Al punto che, una mattina del 1992, si scoprì che sul fondo destinato a pagare le pensioni rimaneva l?esorbitante cifra di? 50 dollari. Giuseppe vive a Bexica, un quartiere di San Paolo in cui gli italiani sono tanti, tantissimi. Come del resto a La Mooca, nel Bras (zona est della città), a Ipiranga e in tante altre zone della terza città più popolosa del mondo. Secondo le cifre che ci snocciola il console generale, Gianluca Cortese, su 20 milioni di abitanti a San Paolo vivono 5 milioni di persone che, per legge, potrebbero ottenere il passaporto italiano anche domani. Più italiani che a Roma In una parola, la città più grande d?Italia al mondo, più di Roma e Milano messe assieme. Nostri connazionali approdati via nave da queste parti con negli occhi il sogno di ?fare l?America? ma poi costretti, dai tanti Collor locali, a veder infranto quel loro sogno. Nella sola San Paolo, oltre 4 milioni di persone abitano in favelas e il tasso di esseri umani che vive in povertà sfiora il 40% del totale. Gli italiani, vuoi per essere approdati da queste parti prima dei nuovi poveri del Nord-Est, vuoi per grande spirito imprenditoriale e capacità di sopportare fatica e lavoro, non sono tanto poveri in percentuale come il resto della popolazione, ma sul totale dei 5 milioni di italo-paulisti, il 20% fa fatica a sbarcare il lunario. Il che vuol dire che un milione di nostri connazionali a San Paolo non ha di che curarsi, non ha di che mangiare, non può vivere della sola, misera pensione brasiliana. «Grazie a Collor, per mantenere me e mia moglie, a 62 anni mi sono reinventato autista. Con questo nuovo lavoro riesco, a fine mese, ad arrivare a quei 250 euro (poco meno di mille reais) che mi permettono di sopravvivere. Ma è una lotta quotidiana». Già una vera battaglia, se si tiene conto che un altro esimio presidente del Brasile, l?uscente Cardoso, pochi mesi fa (i maligni dicono che l?ha fatto per mettere in difficoltà Lula) ha provveduto a liberalizzare i prezzi dei farmaci, fino ad allora controllati. Una chicca neoliberista che fa sì che molti nostri connazionali in verde-oro non possano acquistare nemmeno un antibiotico. I prezzi delle medicine qui sono pari a quelli italiani, unica differenza che il reddito medio pro capite si aggira attorno ai 2mila euro l?anno? Ma non è stato solo il colpo neoliberista di Fernando Henrique (qui tutti sono chiamati per nome, in Brasile tanto per capirci Berlusconi sarebbe Silvio, Ciampi Carlo Azeglio e così via) a mettere in difficoltà i nostri ex emigranti. L?unico ospedale italiano funzionante a San Paolo, che dava supporto e assistenza a quel milione di ?poveri italiani? è stato chiuso. Si chiamava Umberto Primo ed era un vanto della nostra comunità in Brasile. Oggi, invece, ci sono ospedali arabi, ebrei, giapponesi, persino francesi. Ma l?unico centro sanitario della comunità qui più numerosa è stato lasciato cadere in rovina. Parlando in ?portuliano? I motivi? Non è dato sapere dalle fonti ufficiali, ma parlando con l?uomo della strada in quello strano linguaggio che è il portuliano (un mix tra portoghese e italiano, influenzato dai dialetti d?origine), pare che all?origine della chiusura ci siano stati problemi di cattiva gestione. Della serie facciamoci riconoscere. «Un sogno su cui stiamo lavorando, per unire le tante anime italiane che ci sono qui a San Paolo, è proprio l?apertura di un nuovo ospedale italiano», mi confessa Claudio Pieroni, numero uno del Comites di San Paolo, il Comitato degli italiani all?estero che coordina e raggruppa le oltre 300 associazioni italiane che ci sono in città. Un sogno che si scontra però con i forti contrasti che dividono gli italiani da queste parti e che Pieroni cerca di superare. Con la sua opera di tessitore instancabile ma che, senza collaborazione, rischia di essere una fatica di Sisifo. È la stessa sindachessa della terza città più popolosa del Brasile, Marta Suplicy a confessarmelo, quando le rivolgo una precisa domanda sul ruolo della nostra comunità nella vittoria di Lula. Lei, che ha sposato Eduardo Matarazzo Suplicy e che, quindi, italiana un po? lo è (o lo è stata visto che adesso è separata). Come la moglie di Lula del resto, che ha il passaporto della nostra repubblica. «Sono tutti italiani qui. È una comunità molto rappresentativa ma che non ha ruolo politico: non hanno avuto nessun ruolo attivo nella vittoria di Lula. Come vale, invece, per arabi, ebrei o giapponesi. Gli italiani sono molto, molto divisi». Viva la minima (italiana) Purtroppo anche per costruire un ospedale di cui ci sarebbe tantissimo bisogno, a ben guardare gli indicatori di povertà. In Italia sono 2,4 i milioni di persone che vivono con soli 268,55 euro al mese, cifra considerata la soglia d?accesso al Reddito minimo di inserimento. Nella sola San Paolo gli italiani in verde-oro sotto tale limite sono di più, circa tre milioni. Che molti cercao di aiutare. Tra i tanti c?è sicuramente Adelino Rosani. Veneto d?origine, avvocato di professione e presidente di un patronato, il Mcl-Sias, che da queste parti rappresenta davvero un modello da imitare. Grazie alle donazioni degli italiani ricchi (che economicamente, a differenza che in politica, contano parecchio) e grazie al versamento dei 20 euro per la tessera annuale, Rosani è riuscito a creare una struttura d?assistenza all?avanguardia. Sia per quanto concerne la sanità che la previdenza sociale. Per il milione di poveri connazionali paulisti è infatti fondamentale trovare qualcuno che segua la pratica per ottenere una pensione sociale minima. «Qui con 516 euro al mese si può vivere dignitosamente», spiega Rosani, «ed è per questo che quando un nostro assistito ottiene la minima dall?Inps mi si apre il cuore». Ma il sogno più grande di Adelino Rosani resta un altro: «Vedere realizzato un nuovo ospedale italiano qui. Nella più grande città italiana al mondo». Già, un sogno che facciamo nostro.


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