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La nuova legge sui disabili parla italiano

Il 1 luglio è entrata in vigore in Cina la nuova legge sulla protezione delle persone con disabilità. È il frutto di un progetto di cooperazione fra Italia e Cina: «un'idea che sembrava pazzesca», dice Urbano Stenta, ma dai risultati incredibili

di Sara De Carli

Man mano che le cifre si assottigliano sul display del count down che ci separa dalle Olimpiadi, in Cina aumentano le sorprese. Anche in un settore a basso tasso di visibilità sulla stampa internazionale come è quello della disabilità.
Il 26 giugno 2008 la Cina ha ratificato la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e dieci giorni dopo, il 1 luglio, è entrata in vigore una nuova legge quadro nazionale, che rivoluziona la scena tratteggiata dalla legge precedente, risalente al 1990. Un cambiamento che parla anche italiano.
La nuova legge infatti nasce all’interno di un progetto di cooperazione fra il ministero degli Affari esteri italino e il ministero cinese del Commercio estero, partito nell’ottobre 2006. Un budget di un milione di euro e una manciata di esperti coordinati da Urbano Stenta per un progetto ambiziosissimo, anzi, come dice Stenta, «un’idea che sembrava pazzesca»: consulenza tecnica per rivedere l’intera legislazione cinese sull’inclusione sociale dei disabili.

Come è nata questa collaborazione?
Sono stato coordinatore della delegazione governativa italiana per la Convenzione Onu dal 2002 al 2006, e lì ho conosciuto la China Disabled Persons’ Federation. È partito uno scambio di informazioni sulla condizione delle persone con disabilità nei due paesi e di raffronto fra le reciproche legislazioni. L’idea che è maturata, in questi incontri, è stata quella di favorire la revisione della legge quadro sulla disabilità in Cina, che risale al 1990 e successivamente la stesura dei regolamenti attuativi nazionali, provinciali e regionali. La stessa legge quadro del ‘90 infatti ha ad oggi solo due regolamenti attuativi, uno sull’educazione e uno sull’inserimento lavorativo, mentre non c’è nulla, per farle un esempio, sulla riabilitazione. Nell’ottobre 2006 è partito un progetto di cooperazione fra Italia e Cina, “Institutional Support for the Formulation of Laws and Regulations aimed at the Social Integration of Persons with Disabilities”. I partner sono il Mae e il ministero del Commercio con l’estero cinese, ma lavoriamo moltissimo con la China Disabled Persons’ Federation. Il progetto terminerà a ottobre 2009, e ha un finanziamento complessivo di 1 milione di euro.

So che i primi frutti sono già arrivati…
Il 1 luglio è entrata in vigore in Cina la nuova legge quadro nazional. A novembre 2007 il nostro gruppo di esperti ha consegnato agli interlocutori cinesi un documento intitolato “Suggestions and proposals”, offrendo un supporto tecnico. Chiaramente non puoi andare da un Governo a dirgli quello che deve o non deve fare, non perché stiamo parlando della Cina, non è un atteggiamento ipotizzabile in nessun caso. Il 90% dei suggerimenti che abbiamo dato in quel documento sono stati recepiti, e il draft precedente è stato notevolmente modificato. Ora la Cina ha una legge molto moderna, in linea con la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che tra l’altro – al contrario di noi – ha già ratificato.

Quali novità vengono introdotte dalla nuova legge?

Sono state eliminate molte cose anacronistiche, per esempio nella legge precedente si parlava di “charity”, mentre ora si parla di “special assistance”. La struttura legisltiva è molto più stringata, prima avevamo articoli lunghi anche due o tre pagine ma poco stringenti. E soprattutto vengono date indicazioni precise per stendere i regolamenti attuativi, un elemento fondamentale perché una legge possa trovare applicazione. Per dire, questo è anche il punto debole della Convenzione Onu, che è molto debole sulla quesione del monitorggio…

Proviamo a entrare nello specifico?
Per la prima volta la Cina introduce la “community based rehabilitation”. Questo è un contributo specifico dellla cooperazione con l’Italia, visto che la Cina da 20 anni discuteva con l’Oms se itnrodurre o no questo approccio ed è sempre stata molto restia. Invece sono già stati individuati 90 centri dove sperimentarla, secondo un fondamentale criterio di gradualità. Si tratta di un approccio estremamente innovativo per la Cina, che coinvolge non solo la riabilitazione fisica della persona disabile ma anche l’aspetto educativo e lavorativo e soprattutto coinvolge la comunità di cui esse sono parte.

È vero che in Cina la disabilità viene tenuta nascosta?
No, o meglio, è questione di persone, non di scelte ufficiali.

La nuova legge porta novità anche nel campo della scuola: per la prima volta si fa strada il concetto di istruzione inclusiva, anch’esso tipicamente italiano.
È una rivoluzione, è vero. Proprio per questo è impensabile che possa avere luogo in un solo anno scolastico, soprattutto tenendo conto che la Cina ha 220milioni di studenti e 15 milioni di insegnanti. La nuova legge prevede esplicitamente che le scuole ordinarie accolgano gli studenti con disabilità che sono in grado di ricevere l’educazione rdinaria, garantendo loro aiuti e facilitazioni. Si tratta quindi di far coesistere due modelli, le scuole inclusive e quelle speciali, con un graduale spostamento verso il modello inclusivo. Si comincerà a settembre con la prima classe delle scuole materne, e man mano, un anno dopo l’altro, si cambierà il sistema. Ci vorranno 15/18 anni, ma l’importante è sapere che la Cina ha imboccato in maniera irreversibile il modello inclusivo.

E per quanto riguarda il lavoro?
Finora l’integrazione lavorativa dei disabili era immaginata e quindi prevista solo in alcuni settori, molto manuali, come modellare vasi, intrecciare cesti, impagliare sedie, fare massoterapia. Ora invece il ventaglio di professioni a cui possono avere accesso i disabili si allarga moltissimo, prevedendo esplicitamente la loro partecipazione al lavoro intellettuale. Per quanto riguarda le quote obbligatorie di inserimenti di disabili nelle aziende, la legge precedente già prevedeva un 1,5%: il problema era che non c’era nessuno strumento per rendere questa norma obbligatoria e così molte aziende preferivano pagare una semlice multa. Ora invece sono previste sanzioni più rigide: i soldi poi andranno a finanziare una cassa per il supporto dela formazione prfessionale e dell’integrazione lavorativa.

Esistono delle pensioni o degli assegni per i disabili?
Sì, anche se in Cina esiste il federalismo fiscale e quindi ogni regione fa a sé. Ci sono regioni ricche, che stanziano molti soldi per i disabili, mentre quelle più povere fanno pochissimo. Non può essere diversamente in un paese a due facce, dove all’est la gente ha un guadagno medio di 700 euro al mese e nell’interno non arriva a 30 eruo. Abbiamo già messo sul tavolo il problma della compensazione a livello nazionale, sarà il tema che affronteremo nella missione di settembre: l’obiettivo è evitare che in Cina ci siano disabili di serie A e disabili di serie Z.

Professore, perché la Cina si è fatta aiutare dall’Italia piuttosto che dall’Oms o da un altro paese?
Perché ci siamo approcciati con molto rispetto, equilibrio. Ha ragione, l’idea all’inizio sembrava pazzesca. In realtà abbiamo raggiunto un risultato straordinario, impensabile, con una spesa minima. Siamo riusciti ad aprire dibattiti interni di notevolissima vivacità, con molta capacità critica e autocritica. Spesso ci siamo trovati ad avere posizioni di partenza molto distanti, si è trattato allra non di trovare un compromesso, ma di ragionare e di lavorare.

Come definisce la situazione dei disabili in Cina?
In netto miglioramento.

È una coincidenza che questa nuova legge sia entrata in vigore un mese prima delle Olimpiadi e che la Convenzione Onu sia stata ratificata solo dieci giorni prima?
Sarebbe successo comunque. Questo cambiamento è un’iniziativa spontanea, sostenuta in modo molto deciso dal Governo, avviata da tempo come dimostra il prigetto a cui noi collaboriamo: i tempi erano maturi. E un po’ la stessa cosa che è successa a inizio giugno, quando i cinesi hanno tolto l’immagine di Mao dalle monete: anche io ho chiesto a un membro del partito il perché questa scelta, in questo momento. Lui ha detto semplicemente che i tempi sono cambiati. Io credo che si preannuncino cambiamenti enormi, la Cina sta tentando un esperimento importante: far coesistere comunismo e capitalismo, ovvero avere un governo forte e libertà economica. Se ci riesce, saranno in tanti a imitarla.

Chi é
Urbano Stenta è nato nel 1941 in provincia di Chieti. Non vedente, ha inziato la sua carriera come insegnante di latino a Bologna. Dal 1989 al 1997 è stato consigliere del ministero dell’industria per le politiche sociali e dal 1997 è consigliere per le politiche sulla disabilità nei Pvs del Mae. Autore teatrale, regista, poeta, critico musicale, sta per pubblicare Storie di un sentimento presso l’editore Scripta maneant.


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