Formazione

Io difendo il popolo,voi solo i dissidenti

Il punto di vista (molto polemico) di Yu Hua, tra i maggiori scrittori cinesi

di Redazione

I francobolli di Mao Zedong e i libretti rossi. Braccia alzate e sventolanti. Guardie del popolo e studenti universitari, sentinelle chissà quanto convinte, schierate contro il rischio riformista e l’imborghesimento del partito. È ancora alla Rivoluzione culturale, lanciata nel 1966 dal Grande Timoniere, che bisogna guardare per comprendere la Cina contemporanea. Ed è quel che fa, con i suoi racconti e romanzi lo scrittore Yu Hua, il cui ultimo lavoro è appena uscito in Italia, edito da Feltrinelli. S’intitola Brothers: raccontando la vicenda di due fratellastri, ripercorre – con uno stile a tratti grottesco a tratti tragico – le fratture e le follie di un’epoca non lontana. Rispetto alla quale Hua non ha ovviamente nostalgia. La studia come un fenomeno fondamentale per la vita sua e di tutti i cinesi. Con la stessa razionalità con cui guarda al presente. Se gli si chiede dei Giochi, ad esempio, risponde lucidamente, badando ai fatti e non alla retorica: «Al momento la sicurezza sembra essere diventato il problema principale dei Giochi olimpici, cosa che nessuno si sarebbe mai immaginato all’epoca della nostra candidatura. L’industria del turismo non ha tratto profitto da queste Olimpiadi, anzi, è stata penalizzata».
Vita: Ci sono stati altri cambiamenti sociali causati dai Giochi?
Yu Hua: Molti lavoratori impiegati a Pechino hanno dovuto lasciare la città per la chiusura temporanea delle fabbriche, ricevendo un indennizzo dal governo. L’economia aveva subito un contraccolpo già in precedenza, ma all’indomani delle Olimpiadi le ripercussioni si faranno ancora più evidenti.
Vita: Cosa pensa del nuovo stadio di Pechino, che secondo i progettisti, è una sintesi fra vecchia e nuova Cina?
Hua: Personalmente non trovo alcuna traccia della vecchia Cina nel nuovo stadio, mi sembra un edificio moderno che, come tutti gli altri, potrebbe stare bene in qualsiasi altra città del mondo, o potremmo dire in nessuna.
Vita: Quanto la modernità è riuscita a cancellare il passato in un Paese come il suo, così orientato al futuro?
Hua: È molto difficile cancellare il passato, però lo si può mettere nel dimenticatoio. Il passato vive nella storia, pertanto può rimanifestarsi attraverso la memoria storica. È fuori di dubbio che i giovani di oggi ormai non sanno più cosa sia la Rivoluzione culturale, non avendola vissuta in prima persona.
Vita: Quel periodo, che oggi sembra così lontano, torna molto spesso nella sua produzione letteraria. Perché è così importante?
Hua: Ho vissuto sia la mia infanzia che l’adolescenza in quei tempi. In pratica posso dire di essere cresciuto con la Rivoluzione, che ha quindi avuto un’influenza decisiva sulla mia vita, dando un’impronta al mio carattere, al mio modo di pensare. Vale un po’ lo stesso discorso per il ruolo che la Rivoluzione culturale ha giocato rispetto al presente della Cina: per quanto sia terminata 32 anni or sono, parecchie componenti di quell’epoca permangono tuttora, chiaramente sotto nuove spoglie, manifestandosi in maniera diversa. Ad esempio, allora c’era un popolo intero che faceva la rivoluzione e adesso c’è un popolo intero che si butta negli affari…
Vita: Cosa ha comportato questa trasformazione dal punto di vista esistenziale?
Hua: La Rivoluzione culturale è il mio passato individuale, ma è anche quello del nostro Paese, ed esattamente come i ricordi plasmano l’atteggiamento che una persona ha verso l’esistenza, così i segni lasciati dalla Rivoluzione culturale hanno plasmato il cammino futuro del nostro Paese. Altrove ho detto che siamo passati da un estremo all’altro, in che senso? Se un uomo vive a lungo sotto pressione e, all’improvviso, esplode, diventerà molto più estroverso di chiunque altro. È un po’ come il movimento dell’altalena, più è spinta verso l’alto da una parte e più andrà su dall’altra.
Vita: La modernità ha spesso aperto la strada alla rivendicazione dei diritti individuali. Sta succedendo anche in Cina?
Hua: Esattamente, è proprio quello che sta accadendo. In un primo momento, ha riempito i cinesi di desideri, che in seguito hanno preso anche la forma di rivendicazione dei diritti individuali.
Vita: Com’è cambiata la percezione dell’autorità nella cultura cinese?
Hua: All’epoca della Rivoluzione culturale c’era una sola e unica voce, mentre adesso se ne sentono di tutti i generi.
Vita: Nel suo lavoro sembra si registri la scomparsa dei valori tradizionali ma anche la persistenza di strutture sociali ormai prive di significato. È così?
Hua: Mi trovo d’accordo con questa lettura, non si tratta di un’interpretazione che emerge solo dalle mie opere, però, è piuttosto una caratteristica che è andata evidenziandosi in Cina via via, dall’epoca della Rivoluzione culturale fino ai giorni nostri. Sono uno scrittore. In quanto tale mi limito a registrare quello che succede.
Vita: Quale può essere il contributo degli intellettuali nell’affermazione dei diritti umani?
Hua: In tutti i Paesi del mondo sussiste la questione dei diritti umani. Anche in Cina. Ma esiste una differenza tra il mio modo di guardare alle cose e quello di voi occidentali: la vostra attenzione si concentra su uno sparuto numero di cosiddetti dissidenti, mentre, nella mia ottica, il problema più scottante a proposito dei diritti umani in Cina riguarda l’incredibile incidenza di fenomeni di mala giustizia, così come la mancata tutela dei diritti della povera gente.


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