Cultura
contrordine compagni:potete esserereligiosi (ma poco)
Nonostante timide aperture, la fede è ancora «affare di Stato»
di Redazione

«Promesse tradite», accusa Amnesty International in un dossier sui diritti umani in Cina a ridosso dell’apertura dei Giochi. Occasione persa, ribadisce Jackie Hong, membro della Commissione Giustizia e pace della diocesi di Hong Kong.
Nell’editoriale dell’ultimo numero di Mondo e Missione, la combattiva attivista scrive che «la Cina ha fallito nell’intento di rispettare le promesse olimpiche» perché «incentiva le discriminazioni ed elimina ogni forma di dissenso interno. I diritti basilari dei lavoratori continuano ad essere violati e i sindacalisti vengono sistematicamente imprigionati».
Vale anche per la libertà religiosa? È recentissima la notizia della possibilità offerta a sacerdoti stranieri di celebrare Messe in italiano, spagnolo, francese, tedesco e coreano in due chiese centrali di Pechino, fino al 20 settembre.
Gli ottimisti la registrano come un segnale di disgelo, al pari dell’invito (accolto) rivolto al vescovo coadiutore di Hong Kong, monsignor John Tong, di presenziare alla cerimonia di apertura dei Giochi; spiegano che negli alberghi gli atleti troveranno una copia della Bibbia sul loro comodino (dimenticando di dire che è proibito portarne da fuori); sottolineano che il governo cinese ha sostanzialmente concordato con Roma la nomina del nuovo vescovo della capitale nell’autunno scorso.
E via di questo passo. Fino a ricordare lo storico concerto del 7 maggio scorso, quando in Vaticano la China Philarmonic Orchestra di Pechino e il coro dell’Opera di Shanghai si esibirono davanti a papa Benedetto XVI.
Al solito, la situazione cinese sul versante della libertà religiosa è a dir poco segnata da ombre (molte) e luci (poche). E queste ultime, a ben vedere, hanno più a che fare con dichiarazioni e gesti formali che non con effettive svolte a livello di prassi.
Prendiamo per esempio quanto accaduto lo scorso ottobre, a conclusione del 17esimo congresso del Partito comunista. Tra le risoluzioni approvate, ce n’era una che raccomandava di «realizzare completamente la politica fondamentale del partito sul lavoro riguardante le religioni, unendo la massa dei credenti a contribuire allo sviluppo economico-sociale».
Per quanto generica, notano alcuni osservatori, la risoluzione è significativa, perché per la prima volta si accenna alla questione religiosa in un documento cruciale quale lo Statuto del partito.
Di lì a due mesi, nel dicembre 2007, un’altra novità di rilevo: una seduta plenaria dell’intero Politburo del partito è stata dedicata a studiare il tema della religione, presenti i “mandarini” dell’apparato comunista che hanno in mano le redini della politica religiosa.
I colpi della repressione si sono abbattuti con particolare forza sui protestanti. Uno dei loro leader principali, Zhang Mingxuan, il 18 luglio scorso è stato cacciato da Pechino, insieme alla moglie malata, e trasferito forzatamente dalla polizia in una cittadina dell’Hebei, «almeno per la durata delle Olimpiadi». Presidente della Alleanza cinese delle Chiese domestiche, Zhang ha spiegato che la polizia non lo vuole nella capitale durante le Olimpiadi, per evitare che incontri stranieri.
Secondo il quale, come è noto, la persona è libera di credere ma non di farne professione pubblica; l’esercizio pubblico della fede deve ricadere sotto il controllo dell’autorità, custode della «sicurezza nazionale».
Pertanto la libertà religiosa è intesa come una concessione dello Stato e non un inalienabile diritto della persona.
Il fatto poi che a gestire concretamente la vita della Chiesa cinese sia un organismo politico, ossia l’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, non semplifica le cose, anzi. Un vero «balzo in avanti» sul fronte dei rapporti fra Pechino e Santa Sede si avrà solo quando il partito avrà il coraggio di smantellare l’Associazione patriottica e il centro di potere cui essa ha dato vita.
Mondo e Missione
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