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Turchia, uno stato in bilico

Parla Matteo Pasi, operatore di “un ponte per…”, unica ong italiana che lavora nel paese: «Le associazioni? Ancora poco diffuse»

di Riccardo Bianchi

Un grande carro, con tanti conducenti, che pur di portarlo dove vogliono loro sono disposti a tutto. È un po’ questa l’immagine della Turchia, paese dalle ambizioni europee, ma profondamente spaccato all’interno.

I due attentati di domenica notte, che hanno fatto 18 morti e numerosi feriti, sono solo una delle gocce che sta portando il vaso a traboccare. In questi giorni la Corte Costituzionale dovrà decidere se il partito al potere, gli islamici moderati dell’Akp, dovrà essere sciolto.

Se il governo cade «c’è il rischio di un vuoto di potere», spiega Matteo Pasi, di “un ponte per…”, unica ong italiana con progetti nel paese , che la Turchia, e la questione curda, la conosce bene. Pasi è tra i registi del documentario Ayazma, dal nome del quartiere-ghetto di Istanbul abitato dai profughi interni curdi.

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In Turchia le tensioni non mancano…
Ci sono troppi centri di potere in lotta: l’Akp, i militari laici e i curdi.

L’obiettivo, però, non è lo stesso per tutti?

Certo, l’Akp è al governo e vuole portare il paese in Europa con le nuove riforme. I militari cercano di riprendere il potere che hanno sempre avuto e che ora è messo in discussione dagli islamici.

I soldati hanno sempre fatto sentire la propria voce.
Non dimentichiamo che la storia della nazione è piena dei colpi di stato, dopo di cui l’esercito lasciava il potere in mano ai civili. Era un modo per far sentire la propria presenza.

Ci stanno pensando anche oggi?
Sono stati fatti grandi acquisti di armamenti negli ultimi anni. Erano il regalo del primo ministro Erdogan ai militari. I soldati, vista la scia di attentati dei fondamentalisti religiosi, vogliono far sapere che anche loro sono pronti in caso di mobilitazioni.

E i curdi come si inseriscono in queste faccende interne?
Sono delusi e arrabbiati. Hanno sostenuto l’Akp alle elezioni e poi si sono ritrovati l’esercito nelle loro zone. La scusa era di combattere i guerriglieri, ma era anche un modo di distogliere l’attenzione dalle questioni politiche interne.

Molti danno la colpa a loro per gli attentati
(ma i guerriglieri del Pkk hanno già smentito)
Non si può escludere niente. Anche i lupi grigi, il movimento ultranazionalista laico e i fondamentalisti islamici potrebbero essere responsabili. Forse i più probabili potrebbero essere questi ultimi, ma servono le prove per dirlo.

La destabilizzazione a chi farebbe comodo?

Sostanzialmente a nessuno. Solo i terroristi religiosi ci guadagnerebbero. Quel che è certo è che questa situazione di paura fa sì che la gente sostenga le forze dell’ordine nell’usare la mano dura.

E se la Corte cancella l’Akp
Si creerebbe un vuoto di potere destabilizzante proprio in un momento in cui lo Stato necessiterebbe di avere una guida ferma contro la minaccia terroristica. Neanche le gerarchie militari laiche beneficiano di un attentato come questo.

Anche tra i curdi c’è voglia di rivoluzione? Magari tra i giovani?
In Ayazma abbiamo portato un ragazzo curdo nato a Istanbul nel suo paese di origine nel sud-est dell’Anatolia. Ha scoperto la storia del suo popolo, non la conosceva. Ma ha anche ammesso di non sentirsi del tutto curdo. Non aveva più un’identità precisa.

Nessuna identità?
Già, nessuna. E il rischio, per chi cresce così emarginato nella sua città è di cercarla in nuovi valori, come quelli della religione. Infatti molti diventano fondamentalisti.

I curdi terroristi islamici?
No, fondamentalisti e radicali, ma questo non vuol dire che diventino violenti.

Ma in questa crisi, anche sociale, ci sono forze della società civile che lavorano per la riappacificazione?
Come in tutti i posti ci sono singole persone intenzionate a contribuire per il miglioramento della società civile, ma non si può parlare ancora di veri e propri movimenti.

Ma associazioni, ong…
Poche. C’è Ihd, un’associazione turca per i diritti umani, una specie di Amnesty. Lavora molto per far conoscere la storia delle repressioni dei curdi e delle tragedie che hanno subito. Ma anche le torture di cui tuttora sono vittime i carcerati, anche turchi.

E la gente dimostra sensibilità alla questione?

La popolazione è schiacciata dai media, che riportano le voci degli islamici e dei militari, entrambe anti-curde. Addirittura la maggior parte dei cittadini di Istanbul non sa neppure che esiste un quartiere curdo nella propria città. E, se lo sa, ne ignora le reali ragioni che ne stanno alla base.


Per saperne di più
Insan Haklari Dernegi, Associazione per i diritti umani


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