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Il furbetti del Tour

A cura della redazione di Vita - Sintesi di Franco Bomprezzi

di Redazione

Nelson Mandela compie 90 anni, è un avvenimento celebrato in tutto il mondo, occasione per ricordare, per raccontare, per riflettere. Per tutti tranne che per i quotidiani italiani, nella loro generalità (segnaliamo in coda il manifesto). C’è di che riflettere. Noi di Vita ovviamente continuiamo a scegliere la testimonianza e l’approfondimento, per tutta la giornata di oggi.

C’è un tema importante, comunque, che oggi merita le nostre segnalazioni, ovvero le reazioni al nuovo scandalo doping, con l’italiano Riccò fermato in Francia per essere risultato positivo ai test del Tour, con l’accusa di aver fatto uso della nuova Epo.
“Doping, il Tour caccia Riccò” è il titolo che appare in prima su la Repubblica, proprio sulla foto del ciclista attorniato da poliziotti e microfoni. Sottotitolo “Il ciclismo dei furbetti”. Nelle pagine dello sport, ampio spazio. Gianni Mura ne “Il bubbone di ogni sport” spiega l’universalità del male e di contro la differenza dei controlli fra diversi paesi. «In questa operazione di pulizia e polizia che sembra affossare per l’ennesima volta il ciclismo credo si debba vedere un segnale di moderata speranza.
Poi in “Shock Riccò” Mura spiega la dinamica dei fatti e insinua che la volontà di essere al Tour, che non era previsto, si potrebbe spiegare con «un senso di impunità perché questa sostanza solo un mese fa non poteva essere rilevata dalle analisi». Fra i commenti, Pietro Algeri: «per noi è il crollo di tutto. Mi è venuta la voglia di dire basta»; il team manager Gianetti: «Prima del Tour Riccò mi ha giurato su sua madre che era completamente pulito»; Kirchen: «Per me non è una sorpresa, le prestazioni di Riccò erano al limite dell’incredibile» (il che dimostra che un po’ di senso critico vale come qualunque analisi del sangue, denudando il re…); diverso il parere di Francesco Moser: «Una notizia inaspettata, è come ricevere una legnata sulla testa. Non capisco proprio perché i corridori insistano con il doping»…
C’è anche un reportage dal paese di Riccò: “Il paese del Cobra tenta l’ultima difesa: “un complotto come con Pantani” . Il paese compatto: «accecati dalla loro invidia» (i francesi)… La sorella: «Riccardo è sempre stato corretto. Se uno va forte ed è esuberante come mio fratello, prima o poi trovano il modo di farlo fuori. così è stato anche per Pantani»… Taglio basso: una breve sul “Cera”. Il titolo dice tutto: “Basta un’iniezione e si vola per un mese”…

Nella terza pagina dedicata allo scandalo, Maurizio Crosetti intervista Gimondi: “Così ho visto morire la passione e la colpa è solo del ciclismo”: «siamo nella merda più di prima… Seravo che Riccò fosse uno dei giovani del ciclismo nuovo: classe, coraggio, acqua pulita….» «È una mazzata tremenda per chiunque ami lo sport della bicicletta… Mi chiedo cos’abbiano nella testa questi ragazzi»; «la risposta dev’essere etica e scientifica. Servono più valori, cominciando dalle famiglie e dalle squadre dei ragazzi, e più ricerca per l’antidoping. Il vero cancro è la smania di risultati»; «C’è chi dopandosi può passare da un guadagno di 40mila euro l’anno a 400mila: una logica perversa ma pur sempre una logica… Il reato penale come deterrente non è poco, qi si rischia la galera, non solo a carriera e ci si può rimettere la pelle».

Il caso Riccò è addirittura in prima pagina su Il Sole 24 Ore, con un commento in taglio basso di Giorgio Squinzi, che ricorda un episodio di dodici anni fa, quando al Tour capì che il doping ematico era ormai una piaga da fermare assolutamente. Nessuno fece niente e oggi siamo alla «catastrofe», anche perché gli sponsor sono sempre meno propensi a investire in uno sport così infangato. Certo i corridori continuano a pensare di poter fare i furbi ed eludere i controlli grazie a forme di Epo sempre più sofisticate, ma anche la tecnologia antidoping si aggiorna a adesso siamo alla resa dei conti. Oltretutto sono stupidi, perché si fanno del male. «Di una cosa sono convinto», conclude Squinzi, «il caso Riccò non sarà l’ultimo di questo Tour», e cita la volata «esplosiva» e ovviamente sospetta del vincitore della tappa di ieri, Mark Cavendish.

Al caso Riccò Il Corriere della Sera dedica le prime due pagine di sport (pag48 e 49) con un richiamo in pirma in taglio medio. L’editoriale sul caso è a firma di Aldo Grasso. Dice Grasso: «Non è possibile, con un Tour blindatissimo, con gendarmi specializzati in antidoping, sperare di farla franca. Come poteva pensare Riccò, facendo uso di sostanze proibite, si sfuggire agli implacabili controlli? Il ciclismo è fuori di senno, questa è la verità. È ridicolo che oggi si continui a parlare di mele marce. O si ferma il ciclismo o si fermano i controlli antidoping”. Intanto Preud’homme, il direttore del Tour, avverte: «Non so se è un caso isolato, potrebbero esserci altre giornate tristi». Riccò però si difende: «Non ho fatto niente». Ma il suo compagno di squadra Piepoli alza bandiera bianca: «È finito tutto, viene solo voglia di andarsene».
A pag 49, infine, un servizio sul doping di terza generazione: costa mille euro e lo si trova negli ospedali, anche se al mercato nero solo una puntura costa mille euro.

Piccolo richiamo in prima sul caso Riccò per il Manifesto che dedica la copertina al ministro Brunetta. A pagina 18, la pagina dello Sport, il pezzo di Ernesto Battaglia titolo “Riccò, la storia ciclica” e nel pezzo dopo aver ricordato i titoli e i commenti dopo le vittorie scrive: «Ha ingannato tutti. Probabilmente già da quella Milano – Sanremo di due anni fa, quando sul Poggio sfoggiò tre scatti memorabili». Un box sottolinea che Riccò è “Un cobra troppo simile al pirata”. Viene intervistato l’ematologo Giuseppe D’Onofrio che ricorda come «gli atleti pensano di farla franca, invece…». L’attacco del pezzo è fulminante: “I danni fisici dell’Epo di terza generazione? «nel breve termine ipertensione e trombosi, nel lungo – ma è ancora da provare – tumori. Senza dimenticar la depressione» La positività di Riccò? «Usando un doping molto evoluto pensava di non essere beccato, di certo era molto controllato».
Il Giornale dedica copertina  e pagg. 10,11. La foto di Riccò in gara e il titolo “Dopato anche lui”. il pezzo  di PierAgusto Stagi inizia così: ” Scivola sulla cera e prende una musata pazzesca” e sintetizza tutta la vicenda: il Cera, nuovo doping e la musata che è anche “stangata sulla testa” a detta di Moser,  o una “botta tremenda” secondo Chiappucci.  l’avversario Kirchen affonda ” le prestazioni erano al limite dell’incredibile”. E le olimpiadi? Ballerini, ct azzurro, spera che il test positivo sia solo “un valore fisiologico”.
Tre i commenti. Cristiano Gatti ” Io, che idiota a credere in un Pirata” esprime amarezza per questo ciclista che ” voleva esser come il suo idolo (Pantani): stessa posa, stesso massaggiatore, stessa fama da corridore naif”.
Il secondo commento è di Marco Lombardo che provoca: “Basta con la finzione: farmacia libera”  ” decidiamo che  da oggi e subito doparsi non è più reato, che nello sport vale tutto, farmaci compresi”.  Basta con la presa di coscienza collettiva “Ricordate Ben Johnson a Seul? vent’anni fa”. E invece Damiano Cunego, ex corridore,  è triste e amareggiato e  continua a dire “no ragazzi, si può vincere senza barare” e si rivolge a i giovani, ai genitori di chi inizia a fare ciclismo.

La Stampa dedica un primo piano al doping nel mondo del ciclismo, dopo l’episodio eclatante della nuova sostanza (Cera) scoperta nel sangue di Riccardo Riccò. Non un ciclista qualunque, sottolinea l’articolo, ma uno che era stato appena inserito nei 6 azzurri per i Giochi di Pechino. Il suo team ha lasciato la gara, «forse per la coscienza sporca» dice il direttore di corsa. In un fondo Gianni Ranieri evoca Miguel Indurain, «l’ultimo dei campioni da grandi fatiche ciclistiche, smise di pedalare quando si rese conto che piantarla con le cronometro spacca cuore e le salite spacca polmoni significava salvarsi dal doping. Probabilmente  non era un angioletto innocente, ma continuando avrebbe annientato se stesso dopo aver annientato gli altri». Il ciclismo, dice, «era già da un pezzo un’enorme FARMACIA VIAGGIANTE».

“Riccardo Riccò positivo all’Epo e fermato dalla polizia: finisce la favola del ciclista italiano”: così l’occhiello in prima pagina di Avvenire. A pagina 30 il pezzo, dal laconico titolo “Fine corsa”. Pier Augusto Stagi, inviato a Narbonne, attacca così: «Per il ciclismo è l’ennesimo disastro». La delusione colpisce soprattutto perché «Riccò non era un corridore qualsiasi»: infatti «il Cobra di Formigine era diventato il simbolo del nuovo che avanza, la speranza di tutti». Riccò è in stato di detenzione cautelare, con guai con la giustizia ordinaria, oltre che con quella sportiva: il Cera infatti è considerato infatti materiale nocivo e la pena potrebbe arrivare fino a due anni di reclusione.
Box tecnici per spiegare cos’è il Cera, definito l’Epo di terza generazione di cui ancora non si conoscono tutti gli effetti nocivi. Si tratta di un attivatore continuo dell’eritropoietina, ottenuto da modificazione geniche di un farmaco, trasforma il sangue in una specie di bitume e ha un tempo di efficacia lunghissimo, diversamente dall’Epo. Rischio di trombosi elevatissimo. Una sostanza che si trova solo in ospedale, da non più di un anno.

E inoltre sui giornali di oggi:
Avvenire – Sul caso Eluana intervista Bobby Schindler, fratello di Terri Schiavo e responsabile della Terri Schiavo Foundation Center for Helath Care Ethics, che lancia un appello a Beppino Englaro: «Terri ha fatto una fine atroce, tua figlia ha diritto di vivere». L’uomo è preoccupato del fatto che l’etica medica americana si sta «diffondendo come un virus nella comunità internazionale, minacciando non solo le persone in stato vegetativo ma anche i più deboli in senso lato: i disabili, gli anziani, le persone reputate in qualche modo imprefette». Descrive l’agonia della sorella, le labbra crepate e sanguinanti, e dice che «togliere il sondino dell’alimentazione sembra un’azione innocua: non è così».

La Stampa – In prima la lettera di Marina Garaventa, 48 anni, più o meno nella stessa situazione in cui era Piergiorgio Welby (ma può usare le mani e la mimica facciale, tiene dei blog, sta scrivendo un libro). Il giornale le dà ampio spazio anche all’interno. Lei dice che non rinuncerebbe a vivere ma critica con toni accesi «le recenti sortite di alcuni personaggi noti che, in un delirio di onnipotenza» parlano di cose che non sanno, «scrivono lettere patetiche e organizzano raccolte pubbliche di bottiglie d’acqua». «Bando quindi ai simbolismi di pessimo gusto di Giuliano Ferrara, stimato giornalista, e a paternalismo di Celentano, mio cantante preferito», dice.

La Repubblica – a pagina 21 Sul caso Eluana, Piero Colaprico in un pezzo intitolato “Solo un euro per fare testamento biologico” racconta dell’iniziativa dei notai veneti sintetizzata dal titolo. Interessante la posizione di Gabriele Noto, presidente del Collegio Notai di Verona: «vogliamo dare una risposta concreta a un’esigenza sociale fortemente sentita. Non vogliamo fare un caso di coscienza ma offrire uno strumento giuridico, visto che la materia è poco regolamentata».

Il Giornale – a pag. 12 con il titolo “la sfida dell’islam” dedica una pagina al caso moschea a Genova e a Novara. Nella città della lanterna  si è accesa la polemica “per la costruzione della moschea che gli islamici vogliono vista mare”. A Novara  invece sembra che le cose vadano bene. Intervista al sindaco Massimo Giordano, della Lega: ” abbiamo acconsentito  alla creazione di un centro islamico in cambio del no al fondamentalismo e sì al rispetto dei diritti delle donne

Il manifesto – Unico titolo da segnale su Mandela. C’è un pezzo a pagina 5 dal titolo “Il miracolo di Madiba”, Mauruzio Matteuzzi osserva che «Di solito si dice e con qualche ragione che un leader – pur se è o è stato grande come Fidel Castro e Robert Mugabe – a 80 anni dovrebbe farsi da parte, e che farsi da parte a 80 anni è anche troppo tardi. Di Mandela si dice che  essersi ritirato a 80 anni è stato troppo presto. L’ultimo paradosso di una vita drammatica e meravigliosa».

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