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Eluana: i neurologi chiedono di bloccare l’esecuzione della sentenza

Un documento sottoscritto da 25 neurologi per dire che la sentenza su Eluana è il tentativo di far entrare per vie giudiziarie nella nostra legislazione il potere assoluto di autodeterminazione da parte del paziente

di Sara De Carli

Venticinque neurologi scrivono al procuratore generale della Corte d’Appello di Milano affinché blocchi l’esecuzione della sentenza su Eluana Englaro, «quella che sempre di più appare come una condanna a morte». La firmano professori universitari e direttori 
di strutture del Servizio Sanitario Nazionale, chiamati in causa per la loro professione e per la disponibilità – data da un neurologo, il dotor Defanti – a interrompere alimentazione e nutrizione assistita. Tra loro anche Matilde Leonardi, coordinatore del progetto nazionale Funizonamento Disabilità e Stato Vegetativo.

I neurologi esprimono una «posizione fortemente alternativa alla decisione del collega Defanti e alle sentenze della Cassazione e della Corte d’Appello» e scrivono perché «sentono il dovere di riaffermare alcune fondamentali evidenze scientifiche ed etiche, senza le quali il vivere civile, , l’organizzazione sociale e la nostra professione corrono il rischio di allarmanti derive».

1 – Il paziente in stato vegetativo non necessita di alcuna macchina per continuare a vivere, non è attaccato ad alcuna spina. Non è un malato in coma, né un malato terminale, ma un grave disabile che richiede solo un’accurata assistenza di base.

2 – La nutrizione e l’idratazione del paziente, per quanto assistite, non sono assimilabili a una terapia medica, ma costituiscono da sempre gli elementi fondamentali dell’assistenza, proprio perché indispensabili per ogni persona umana, sana o malata. La stessa Corte di Cassazione, nella sua sentenza, riconosce che l’alimentazione assistita “non costituisce oggettivamente una forma di accanimento terapeutico e che rappresenta, piuttosto, un presidio proporzionato al mantenimento del soffio vitale…”. Sono decine e decine di migliaia, dicono i nurologi, le persone che ogni giorno si nutrono in questo modo, una parte senza che questo intacchi le capacità addirittura lavorative, una parte in condizioni simili a quelle di Eluana: «ci chiediamo cosa faremo con tutte loro e su che base sarà possibile scegliere. Dobbiamo –lo Stato, la Comunità, i Medici-  eliminarle tutte?».

3 – Dal punto antropologico, inoltre, desideriamo ribadire che il paziente in stato vegetativo non è un vegetale, ma una persona umana. “La tragicità estrema di tale stato patologico, che nulla toglie alla sua dignità di essere umano, non giustifica in alcun modo un affievolimento delle cure e del sostegno solidale”, come peraltro – scrivono – afferma la Cassazione.

4 – Dal punto di vista neurologico, il paziente in stato vegetativo non è in morte cerebrale, perché il suo cervello, in maniera più o meno imperfetta, non ha mai smesso di funzionare. E’ utile ricordare che studi recenti di imaging funzionale e di neurofisiologia clinica dimostrano con chiarezza che in alcuni di tali pazienti è possibile evocare risposte che testimoniano di una residua possibilità, più o meno elementare, di percepire impulsi dall’ambiente con susseguente analisi e discriminazione delle informazioni. Pur essendo le possibilità di recupero sempre minori con il passare del tempo dall’insulto cerebrale, oggi il concetto di stato vegetativo permanente è da considerarsi superato e sono documentati casi, benché molto rari, di recupero parziale di contatto con il mondo esterno anche a lunghissima distanza di tempo. È pertanto assurdo poter parlare di certezza di irreversibilità.

A queste premesse segue la richiesta dei 25 neurologi: «Sulla base di queste considerazioni, riteniamo che la sentenza sul caso Englaro non rappresenti un intervento per por fine ad un accanimento terapeutico o a pratiche assistenziali improprie, ma il tentativo di far entrare per vie giudiziarie nella nostra legislazione il potere assoluto di autodeterminazione da parte del paziente o  -in questo caso-  di chi lo rappresenta o crede di rappresentarlo, fino alla scelta della morte, se la vita viene ritenuta indegna di essere vissuta. Per quanto riguarda la nostra professione, riteniamo che in tale contesto, il rapporto medico-paziente è ridotto a mero contratto ed il medico a prestatore d’opera tecnicamente qualificata, intesa, nel caso specifico, ad affrettare la morte del paziente, contravvenendo i fondamenti della professione medica e le regole basilari della società civile. Siamo anche molto preoccupati che le considerazioni della magistratura sulla possibilità di por fine ai pazienti in stato vegetativo come Eluana Englaro possano finire per estendersi ad altre categorie di pazienti neurologici, come i dementi o i cerebropatici gravi che, in fase avanzata di malattia, possono trovarsi in condizioni cliniche non dissimili da quelle dei pazienti in stato vegetativo. Per tutti questi motivi, Signor Procuratore Generale, le chiediamo un intervento urgente della che blocchi, prima che sia troppo tardi, l’esecuzione di quella che sempre più appare come una sentenza di condanna a morte».


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